di Gianni Ferraris –

Guccini Francesco ha compiuto ottant’anni. Siamo invecchiati in effetti. Ancora lo ascolto con passione e pieno di ricordi. Canzoni che ci hanno aiutato a crescere, a formarci. Amore rubato in ritagli di tempo, eskimo addosso e “in tasca l’Unità”, incontri casuali  che riportano lontano nel passato, una ragazza morta di aborto, e poi lui, il nostro eroe di un tempo di contestazioni in cui avevamo il mondo tra le mani, il conducente della locomotiva che corre sui binari urlando “trionfi la giustizia proletaria”. Eppure ottant’anni sono tanti, quando cantavamo le sue canzoni vedendo un cinquantenne pensavamo “cazzo se è vecchio”. 

Oggi, nel tempo in cui Falcone e Borsellino e mille altri sono morti in nome e per conto della giustizia, forse non proletaria ma giusta, ci sentiamo tutti, noi di quella generazioni, un po’ disillusi e guardiamo avvicinarsi gli ottant’anni anche nostri. E non diciamo più che sono troppi. Forse solo un po’ tanti, non troppi però. 

Perché il mondo sembra girare all’incontrario, perché Cirano era solo un utopista. Ma noi amiamo le utopie che “servono per continuare a camminare”. Perché, forse, apparteniamo ad una generazione che ci ha provato a cambiarlo il mondo, con improvvisazione, senza un progetto forse, però in molti ci hanno creduto e quel sogno rimane illusione. Così riascoltiamo Guccini ogni tanto, e Vecchioni e De Gregori e Lolli, e i cantautori che ci hanno segnato un pezzo di vita. E che continuano ad accompagnarci con caparbia determinazione.

E mi stupiscono gli stupori di chi si indigna perché Guccini ha dichiarato “non sono mai stato comunista, votavo socialista”. Mi lasciano perplesso perché non l’ho mai sentito dichiarare di essere anarchico o comunista, e perché, tutto sommato, era assolutamente irrilevante, bastavano le sue canzoni, era sufficiente il messaggio, abbiamo avuto necessità di poeti e scrittori e cantori aperti al nuovo e che ci insegnavano l’utopia.

Per questo, riascoltandolo, penso “ma a noi piace pensarlo ancora dietro al motore, mentre fa correr via la macchina a vapore” così com’era, quando sembrava lui il macchinista anarchico, quando raccontava le sue radici, che sono diventate nostre. 

Grazie Francesco.