di Marcello Buttazzo –

Anche gli scandali non hanno più il sapore d’una volta, hanno perso il garbo, sono terra terra. Al Festival di Sanremo è scoppiato un caso. Junior Cally, il rapper romano, che si esibisce in maschera e che per la prossima kermesse alla Città dei fiori ha scritto un brano contro il populismo, nel recentissimo passato non ha brillato per poetica musicale e testuale. In una sua canzone del 2017, intitolata “Strega”, la donna viene umiliata, vilipesa, oltraggiata. Un testo banale d’una volgarità e d’una violenza inaudite. In altre canzoni, il 28enne rapper romano sa solo rappresentare la donna “come oggetto di piacere o come trofeo tribale”. Il cantante s’è giustificato in modo blando e infantile: “O si accetta l’arte del rap che deve essere libera di esprimersi. Oppure si faccia di Sanremo un’ipocrita vetrina del buonismo, lontano dalla realtà”. Potremmo capovolgere il discorso, affermando che la realtà non debba essere per forza solo sessismo, truculenza e sangue. La realtà effettiva, grazie al Cielo, è anche altro. Potremmo anche dire che Junior Cally, senza peccare di buonismo, potrebbe sempre imparare a scrivere contegnosamente una canzone. Questo nuovo “profeta” del rap italiano fa rimpiangere ampiamente gli scandali tollerabili di anni fa. Vasco Rossi che canta “Vita spericolata”. Zucchero che si lamenta per essere arrivato ultimo in classifica. Loredana Berte che spunta sul palco dell’Ariston con un pancione finto, sconvolgendo i cattolici perbenisti. A differenza di Junior Cally, Rossi, Zucchero e Bertè erano più eleganti nel linguaggio. E, inoltre, le loro canzoni erano più orecchiabili, più ascoltabili. 

Marcello Buttazzo