di Paolo Vincenti

“Sapessi come è strano

Sentirsi innamorati a Milano. A Milanoooo

Memo Remigi

 

Ah, i pensieri associativi. Vedo dei ragazzi battere il cinque e all’udire lo schiocco delle mani mi viene in mente la vecchissima canzone di Jovanotti, “Gimme five” (alright!). Era il primo Jovanotti, fine anni Ottanta, quello ancora disimpegnato, l’idolo dei ten agers, in cappellino e gilet a stelle e strisce. Quello di “Yo” ed “E’ qui la festa?” Amato dal pubblico ma denigrato dalla critica per il suo sfacciato, troppo ostentato giovanilismo, ché la giovinezza, fuori dall’essere un fattore anagrafico, quando diviene stato mentale, se viene sbandierata, issata come bandiera, cantata, osannata e rivendicata, fa girare le balle più di un bel po’ a chi giovane non è. E Jovanotti, quello di “Spakkiamoci le orecchie” e “Scappa con me”, veniva ritenuto quasi un rimbambito dalla stanca e un po’ barbogia critica di settore dell’epoca. Poi Lorenzo Cherubini avrebbe dimostrato che anche in quel suo disimpegno degli inizi c’era un messaggio molto forte, profondo, e dietro al suo divertentismo, all’apparente leggerezza, maturava una solida formazione che lo avrebbe portato negli album successivi ad essere uno dei più coerenti e ricercati cantautori italiani. Gimme five! 1, 2, 3, 4, 5. E tutti a battere il cinque. In effetti, nella Smorfia napoletana il 5 è proprio la mano. E dalla mano del cinque, i pensieri associativi mi portano al pentagono, la figura geometrica costituita da cinque lati, e dal pentagono, seguendo l’uzzolo, l’onda della mia ispirazione, il ghiribizzo libero e volatile, arrivo al pentacolo, la stella a cinque punte iscritta in un cerchio, simbolo magico, che per associazione mi fa pensare alla letteratura orrorifica e noir e ai tanti romanzi gotici dell’Ottocento che ho letto, in particolare quelli che hanno ad oggetto storie di streghe e di lupi mannari. Ora, il cinque, nei numeri romani, si indica con V, che è l’iniziale del mio cognome, Vincenti, e questo mi fa pensare alla mia casa, nella quale il cinque è un numero ricorrente, anzi il più ricorrente, essendo la mia famiglia composta da cinque persone, io, mia moglie e tre figli. E dunque questo numero mi insegue da presso quasi ogni giorno, nell’espletamento di qualsiasi pratica burocratica che mi tocchi fare. E di pensiero in pensiero, di stazione in stazione, di meraviglia in nostalgia, se guardo i miei ragazzi presi nelle loro occupazioni pomeridiane, lo studio oppure i giochi elettronici, vado indietro con la memoria a quando ero io un ragazzo della loro età. E così seguendo quell’arabesco nell’aria, l’associazione di idee, quella magica consonanza scatenata dal numero cinque, mi rivedo nei lunghi pomeriggi d’inverno nella mia casa natale, e si crea allora una particolare atmosfera che mi fa pensare a Memo Remigi. Sì, a Memo Remigi e a Topo Gigio. Perché Remigi, oltre ad essere un cantante, è stato sempre un personaggio televisivo, avendo condotto svariate trasmissioni in Rai e in Mediaset. E fra queste “L’inquilino del piano di sotto”, un programma per bambini degli anni Ottanta nel quale Remigi era affiancato da Topo Gigio, con Isabel Russinova e Alberto Castagna. Così ricordo anche la sigla di un “Fantastico” di quegli anni che lui cantava, “Gocce di luna”.

Ma più di ogni altra cosa, Remigi mi fa ritornare a Canale 5 e a Milano 2. Penso a quanto dovevano essere pieni di fermento quegli anni a Milano e in Brianza con quell’attivismo proprio del grande sviluppo economico e industriale. La sua canzone più nota, “Innamorati a Milano”, era la sigla di Telemilano 58 che sarebbe divenuta Canale 5. Dunque, ad un certo punto della sua carriera le sorti di Remigi si intrecciarono con quelle del Cavalier Berlusconi. Era destino insomma che il cantante incontrasse il Silvio nazionale. E se dico Silvio Berlusconi e Canale 5, ma Canale 5 di quegli anni, di quei leggendari esordi, io penso a Five, il pupazzo mascotte dell’emittente televisiva cui prestava la voce un giovane Marco Columbro. Eh sì, la suggestione ha qualcosa di fantasmatico, di inquietante, di promettente, abbagliante, confonde e imbroglia. La memoria a volte è come un vecchio juke box che aspettava solo la monetina per partire, come la molla del carillon in attesa della mano che la azionasse, il vecchio telefono nero a corona che voleva essere rimesso in uso. Ed ecco che il pentagono magico della mia fantasia, lo schiribizzo di un pomeriggio invernale, si chiude: dal cinque di Gimmi five al Five di Canale 5. Cinque pensieri associativi, uno per ogni lato del pentagono. Ah, i pensieri associativi…

Paolo Vincenti, 5 novembre 2017