di Marcello Buttazzo –

Nelle sere di maggio,
quando declina il sole,
nel mio giardino
immobili
come statue di marmo
statiche
stanno le piante,
intente
a ricevere la frescura,
immerse
nei profumi d’intorno e
nel dolce silenzio dell’oscurità.

Beatrice Montenegro, laureata in lettere classiche, già insegnante nelle scuole secondarie della provincia salentina, ha dato alle stampe, nel novembre 2023, il libro “Fuscelli”, pubblicato da Musicaos Editore nella collana Fablet. In uno scritto profondo, agile e lineare, confluiscono poesie dell’autrice, miti e favole della tradizione classica. La stessa Montenegro, in apertura di “Fuscelli”, interrogandosi sul significato intrinseco di poesia, offre una spiegazione dettagliata relativamente alla genesi di questa opera. La sua professione di docente l’ha portata a diretto contatto con i ragazzi e con le ragazze. Negli anni scolastici passati con i suoi allievi Montenegro ha dato rilevanza, tra le altre cose, ai racconti favolistici e mitologici. Pertanto “Fuscelli” può essere inteso come un compendio di poesie dell’autrice, di favole della mitologia greco-romana, commiste a considerazioni di varia natura antropologica e filosofica. Così, per rammemorare il dilemma del male, Montenegro si rifà ad Esopo e alla cattiveria del lupo, simbolo di prepotenza e prevaricazione del più forte nei confronti del più debole. Le favole antiche, che illustrano sovente comportamenti umani, contengono frequenti riferimenti alla Natura. Esopo scisse una favola dedicata alla primavera e all’inverno e, per esaltare la bellezza della lentezza, tratteggiò la gara tra una lepre e una tartaruga. Le riflessioni di Montenegro, partendo dalla descrizione delle favole, si riferiscono a tematiche eterne come la libertà o l’imprevedibilità della vita, oppure l’avarizia, l’avidità. Parimenti, eternoritornanti sono i miti, brevi narrazioni. E Montenegro narra del mito che tratta gli amori di Zeus. Evoca il mito di Dedalo e Icaro, particolarmente adatto alla sensibilità dei giovanissimi. E ancora l’autrice, tramite i miti di Filomene e Bauci, tramite il mito di Apollo e Dafne, tramite il mito di Persefone, il mito di Orfeo e Euridice e il mito di Eolo, s’adopera per meditare sui comportamenti degli esseri umani contemporanei. Luciano Pagano, in una nota a “Fuscelli”, a un certo punto scrive: “Il lettore, accompagnato dai versi e dalla struttura del testo che consente di attraversare i differenti piani di senso proposti, compie un viaggio filosofico e poetico, dove i fuscelli cui fa riferimento il titolo andranno a costituire attrezzi indispensabili, piccoli e all’apparenza insignificanti, ma efficaci a disposizione di chiunque, per costruire un’immagine insieme letteraria e etica della scrittura”. Ed effettivamente Beatrice Montenegro compie un viaggio attraverso i selciati della letteratura con citazioni di poeti e narratori illustri della tradizione novecentesca (come Buzzati, Borges, Montale, Neruda, Lorca, Cardarelli, Pozzi, Pavese, Gatto, Bufalino, Merini, e tanti altri ancora). E con delicatezza e slancio vitale ci propone le sue poesie. In esse balena una Natura illesa. Caldi meriggi primaverili, cieli azzurrini, passeri sul ramo, cri cri di grilli, mirabilie d’arcobaleno. La Natura si palesa, altresì, nell’urlo del vento per contemperare una condizione umana. Il vento risuona nella cassa toracica della poetessa, che lo culla, lo vezzeggia. E l’urlo di notte diventa polifonia. E ancora la Natura incontaminata si manifesta nelle viole che fanno capolino nei prati, nel rosso sangue del papavero, nelle foglioline verdeggianti fra i rami del fico, tra i voli di passeri che s’intrecciano nel cielo, nell’odoroso fiore di pittosforo. Vivo è l’effluvio di erba appena tagliata nell’aria tremula del crepuscolo. Come interminabile e indolente è un meriggio in cui il cielo si copre di cenere. Alcuni versi sono dedicati alla sera, che non reca più pace e quiete, ma rende l’angoscia più nera. Versi sono dedicati al lento fluire della notte, che scorre senza la presenza dell’amato. La poetessa redige versi per gli studenti liceali chini sui dizionari, intenti a studiare lingue antiche. Traspare evidente, in “Fuscelli”, il senso di caducità del tempo. Il tempo dei giorni sospesi, dei giorni pensosi e incerti in attesa di uno spiraglio di luce. Nei momenti di silenzio, la poetessa si sofferma sulla solitudine d’un mondo oberato da odi e guerre, dall’assenza di vera comunicazione. Sono vibranti i versi d’amore pensati per il paese natio (Leverano). Paese di acque palustri e rorido d’umori, rannuvolato dallo scirocco e sferzato dal vento freddo del nord. Intensi sono i versi sulla madre deceduta, che esalò i suoi ultimi respiri, sommessi come tutta la sua vita. Di tenerezza s’adornano i versi sulla nonna. C’è un anelito francescano in “Fuscelli”, che conduce l’autrice ad una serafica accettazione anche di sorella Morte, la signora dalla nera mantiglia, che s’avvicina “senza grande rumore/nel passo più tardo,/nell’ombra del giorno/che dilegua”. Non manca una poesia scritta per l’estate che declina, che finisce, quando “flebili singulti/accordano violini/nei crepuscoli assonnati/tra gli alberi e le strade”. “Fuscelli”è una raccolta di varia umanità, in cui la poesia ha una funzione terapeutica, ma non solo: anche etica.

Marcello Buttazzo