di Paolo Vincenti –

“Roma Roma Roma
core de ‘sta città
unico grande amore
de tanta e tanta ggente
che hai fatto sospirà
Roma Roma Roma
lassace cantà,
da ‘sta voce nasce n’coro
so’ centomila voci
ci hai fatto ‘nnamorà”

(Antonello Venditti – “Roma Roma”)

A Roma l’amministrazione Raggi scricchiola. Facile prevedere che questa sarà probabilmente ricordata come la peggiore della storia romana, perfino peggiore di quella di Marino. È partita proprio con il piede sbagliato la Virginia pentastellata, anzi sembra proprio che nessuna delle cinque stelle del simbolo grillino la abbia assistita. La giunta Raggi naviga in un mare di problemi, anche l’Oref ha bocciato il bilancio di previsione del Comune. Gli assessori vanno e vengono in una giravolta infernale.  Il Campidoglio sembra la porta scorrevole dei grandi alberghi, un assessore entra, l’altro esce, giusto il tempo di finire indagato e dimettersi o essere dimesso. Molti, contattati dalla Sindaca, preso atto dell’andazzo, rifiutano l’incarico, finirà che Raggi dovrà rivolgersi agli immigrati perché di connazionali disposti ad immolarsi su quegli scomodi banchi non ce ne saranno più. E così, avallando la vecchia teoria che gli immigrati fanno i lavori che gli italiani non vogliono più fare e costituiscono quindi una risorsa per il Paese, il Movimento 5 Stelle  farà l’ennesima virata della sua storia e il leader Grillo, da tolleranza zero sugli immigrati irregolari, passerà su posizioni di moderata accoglienza. Tanto Grillo una ne pensa e cento ne fa, e oggi dice una cosa e domani il suo contrario. La Raggi ormai sembra una bambola impazzita, qualcuno dovrà staccarle la batteria. Non so come faccia a mantenere i nervi saldi e non crollare vittima della sindrome di accerchiamento. Che psicofarmaci usa? Chi è il suo personal coach? Oltre alle forze politiche di opposizione, sta cercando già da molto di farle le scarpe la fronda interna, come spesso succede nei grossi partiti. Raggi deve vedersela infatti con un agguerrito drappello di parlamentari grilline, capeggiate dalla “coatta” Taverna Paola, che vorrebbero “cacciarla a calci in culo” (testualmente, parole di Annalisa Taverna, sorella della anzidetta Paola) o “appenderla per le orecchie ai fili dei panni sul balcone”. Si sa, il fuoco amico è sempre quello più insidioso e la storia è piena di esponenti politici finiti sotto i colpi dei franchi tiratori. Bisogna riconoscere ai pentastellati il pregio di non mandarle a dire, loro sanno bene come farsi sentire e non hanno nessun imbarazzo a mostrare apertamente la loro faccia di culo mentre delirano funerei e incazzati nelle video apparizioni.

A onor del vero, occorre dire che i problemi di Roma sono talmente cronici che nemmeno coi super poteri un sindaco potrebbe risolverli. Figurarsi dunque cosa può fare la Raggi, che certo Wonder Woman non è, di fronte agli atavici mali che attanagliano la città eterna. “Roma è da radere al suolo, altro che avvisi di garanzia”, scrive Massimo Fini su “Il fatto quotidiano” del 22 dicembre 2016, e cita un articolo de L’Espresso del 1955 dal significativo titolo: “Capitale corrotta uguale nazione infetta”. Ma senza andare così indietro nel tempo, basta pensare alle ultime due sciagurate legislature Alemanno e Marino per capire che i problemi di Roma non sono certo nati oggi ma affondano le loro radici in una mala gestio che più amministrazioni avvicendatesi alla guida della città hanno perpetrato. Ora, questo enorme bubbone è venuto fuori, il male che infetta Roma si è incancrenito e non ci sono raggi che ci possano far calcolare la superficie esatta della circonferenza. Sappiamo solo che si tratta di una piaga enorme e maleodorante nel corpo macilento della nazione. E lo sanno bene soprattutto i cittadini romani i quali, in preda alla disperazione, hanno votato massicciamente il movimento Cinque Stelle, – quando si dice abbaglio collettivo-, cioè una accolita di idioti benpensanti scarsi in teoria e ancor di più in applicazione pratica.  Però, però, c’è un enorme però, a questo punto della mia trattazione. Roma ha un deficit enorme, forse da 15 miliardi,  e la sua immagine è stata svilita nel mondo da Mafia Capitale. I sorci e la monnezza invadono l’Urbe e gli avviliti romani sono costretti a fare lo slalom fra gabbiani e pantegane, servizi scarsi e autobus sempre in ritardo. La Barbie Virginia non lo sapeva quando ha accettato la candidatura a Sindaco?  E poi, la sua amministrazione ha iniziato a cedere subito sotto i colpi degli scandali.   Prima l’arresto di Raffaele Marra, city manager fortemente voluto dalla Raggi, come fortemente voluta e difesa anche di fronte all’evidenza dei fatti era stata l’assessora Paola Muraro, dimessa per i guai giudiziari a seguito dell’affare rifiuti. Poi l’allontanamento di Salvatore Romeo, capo della sua segreteria e il declassamento di Daniele Frongia da vicesindaco ad assessore allo sport. Si aggiunga la promozione del fratello di Raffaele Marra, Renato, a dirigente del settore turismo fatta in spregio di ogni palese conflitto di interessi, come sottolineato anche dall’Anac.  Si è giunti al punto che alcuni facinorosi quando incontrano qualche parlamentare 5 stelle si mettono a urlare “mafiosi mafiosi”, e gli lanciano contumelie come nemmeno a un Forza Italia del periodo d’oro. Ora,  a maggior discredito della Raggi e della sua palese impreparazione, bisogna dire che la sua vittoria alle elezioni amministrative di Roma era scontata, prevedibilissima già da molti mesi prima. La Sindaca non ha avuto nemmeno la preveggenza di prepararsi a dovere, di farsi trovare pronta all’importante appuntamento? E il cerchio magico grillino cosa faceva nel frattempo? Sonnecchiava?

Dice, anche Milano ha i suoi problemi. Vero!A onor di cronaca, la situazione, se non amministrativa almeno politica, di Milano non è migliore di quella romana. Il Sindaco Sala, ex Mister Expo, ha i suoi guai giudiziari che lo hanno portato addirittura ad una ridicola autosospensione per fortuna limitata nel tempo. Beppe si era arrabbiato e teneva il muso come i bambini. Voi mi indagate? E io non lavoro più e vediamo se non sentirete la mia mancanza e non verrete a chiedermi di tornare. Sala, dopo che la scure della magistratura si è abbattuta su Expo, arrestando tutti quelli che a vario titolo vi hanno preso parte, tranne lui, ora si sente pericolosamente lambire dal taglio vivo della lama e cerca di scansarsi per non restarne decollato. E gridando forte la propria innocenza, anche per farsi sentire da Cantone che come un cane da tartufo si aggira intorno alle mura di Palazzo Marino (giuro, l’ho visto io stesso accamparsi in tenda per la notte mentre attendevo a Natale di entrare al Municipio per visitare l’Annunciazione di Piero della Francesca), Sala ritorna al posto di comando e si ristabilisce nel ruolo di Primo Cittadino. Ma Sala fa parte del Pd.  Lo ha voluto Renzi. Insomma, è uno dei tanti magnaccia della peggiore politica fatta di incarichi e prebende. La Raggi no. Lei viene da un partito di millantata onestà, che ha fatto della lotta alla corruzione e agli sprechi la propria bandiera. Le aspettative dunque, da una giunta composta da duri e puri, erano raddoppiate, enormi le speranze per un cambiamento radicale nella conduzione della cosa pubblica. Non si può perdonare alla romana Virginia questa miserrima fine;  tutte le falle aperte difficilmente saranno chiuse. La Raggi doveva pensarci prima. Ora è tardi.  E povera Roma.

Paolo Vincenti