di Antonio Errico –

Avevo un amico una volta, che adesso non c’è più. Nelle vene non gli scorreva sangue; gli scorreva inchiostro. Lui pensava di dover scrivere un grande romanzo. Pensava che la sua vita poteva giustificarla soltanto in quel modo, con un grande romanzo che avrebbe intitolato “Declaro”. Aveva una tensione spasmodica verso la forma, l’ansia di inventare una lingua capace di aderire all’esistenza e alle cose, di impastarsi con esse fino a non distinguersi più, fino al punto di diventare esistenza e cosa.

Antonio Verri, il Declaro non ha fatto in tempo a scriverlo, ma i libri che ha lasciato ne costituiscono  frammenti, eccellenti. 

Un altro amico qualche tempo fa mi diceva di una sua idea di romanzo e il progetto cominciava, si sviluppava  e finiva con il termine target. Non pensava alla scrittura, alla narrazione, ai personaggi, alla trama, all’intreccio, alla storia, ma al target, alla fascia dei potenziali acquirenti del suo prodotto da confezionare sulla base delle esigenze del mercato.

Molti prodotti dell’editoria hanno questa natura e molti autori rispondono a questa ideologia. La cosa vale per ogni espressione d’arte. Non è un giudizio. I tempi sono così. Una provvisorietà culturale. Una trasversale ideologia del mercato. A volte sembra che molte espressioni culturali – o che si dicono tali –  obbediscano a questa ideologia del consumo e a nient’altro. Sembra che il valore di un romanzo, di un film, di un’opera quale che sia, debba essere stabilito soltanto dal mercato: vale se vende. Che di essa rimanga o non rimanga memoria non ha nessuna importanza.

Anche Michelangelo rispondeva al committente, ma al principio e alla fine del pensiero sull’opera non c’era altro che  l’opera. 

L’arte di Michelangelo resterà finchè esisterà un solo uomo in  possesso della vista. Quelli che pensano al mercato, non sappiamo.

Però quello che provoca un certo turbamento è proprio la logica imperante del mercato, che assoggetta tutto o che distrugge quello che non riesce ad assoggettare. Quanto incasso ha fatto questo film, quante copie ha venduto questo libro, questo disco, quanti biglietti sono stati venduti per quel concerto, che audienceha fatto quel programma, quante persone c’erano a teatro. Se il film, il libro, il disco,  sono un capolavoro ma non hanno incassato, il regista, lo scrittore, il musicista  sono falliti definitivamente; se film, libro e disco sono  una brodaglia ma hanno fatto il boom allora si continuerà con la brodaglia, e noi faremo la fila per ore davanti al botteghino, alla cassa della libreria, pregustando il sapore di brodaglia.

Il genio da solo non basta. Una volta pretendeva sacrificio, e un po’ di fortuna anche. Adesso vuole il riconoscimento del mercato. Senza mercato non c’è esistenza.

Se così stanno le cose, allora, ci si trova costretti a scegliere fra l’accettare la logica abbassando la testa e il  mettersi a fare resistenza attraverso la scelta della qualità, dell’originalità, della bellezza.

La prima è certamente più facile e anche più conveniente. La seconda è più difficile, costa molto di più. Ma dura anche molto di più

“Nuovo Quotidiano di Puglia”, I  RESTI  DI  BABELE, sabato 16 luglio 2022