di Mauro Marino

E’ trascorsa una settimana, ma il ricordo della “visita” rimane vivo, torna, invade…

Ancora in carcere! Mercoledì 14 maggio, alle 15.30, il pesante cancello della casa Circondariale di Borgo San Nicola si è aperto, per accogliere il pubblico. La Sala del Teatro è ormai diventata, per me, mèta consueta ma le emozioni non s’acquietano… Entriamo. Un centinaio di donne siedono, silenziose e composte, aspettano l’inizio dello spettacolo. Noi, venuti da fuori, ci aggiungiamo a loro. Di fronte disposte ad arco, otto sedie, al centro quello che somiglia ad un trono. Davanti si stende un tappeto rosso, a mo’ di guida si perde tra le file del pubblico. Due leggii ai lati, vuoti, anch’essi in attesa…
Questa volta protagonista è la Sezione Femminile. Un laboratorio di lettura guidato da un magistrato ha interessato le recluse in regime di alta sicurezza. Dopo aver finito di leggere “Vite che non sono la mia” di Emmanuel Carrère, Vittorio Gaeta, il conduttore, ha proposto loro una lista di libri, le donne hanno scelto“La rivoluzione della luna” di Andrea Camilleri.

Così, trasportati dalla carezza dei dialetti ci siamo trovati nella Palermo del 1600.

Lì, narra Camilleri, per la prima volta nella storia, divenne vicerè una donna; la Sicilia si divise tra chi protestava e chi si mostrava entusiasta di questa rivoluzione. Donna Eleonora è la protagonista: forte, coraggiosa nei suoi ventotto giorni di governo. Emana leggi innovative a favore delle donne e del popolo.
Un testo su una donna scelto e recitato da donne…
Sono frastornato, è sempre così qui, tra queste sedie!
Una domanda preme, nuova, forse scontata, ma le altre volte al cospetto dei maschi, non era venuta. Si fa urgente: quante storie contiene una sezione, un corridoio, una cella, questa sala?
La fotografa e regista Caterina Gerardi – che in questi luoghi ha realizzato un film – sostiene che il carcere non è compatibile con l’essere donna. Lo penso anch’io, guardandole…
La cosa straordinaria è il loro sguardo. Il carico emotivo che esprime. Certo, qualcuna di loro sarà una “feroce criminale”, forse! Ma la maggior parte di quelle che guardo di sottecchi, per non sembrare indiscreto o morboso, mostrano una “disarmante normalità”.
Perché son qui? La pena che scontano è la loro? Mi chiedo.
Già, il carcere è anche questo: normalità. L’ordinario quotidiano trascorso contando il tempo. Prese al “fare”, magari, ma nello “stretto” nulla realmente respira… Forse soltanto le parole… Forse solo quelle possono varcare il perimetro chiuso del carcere. Quelle lette su libro che muovono libera l’immaginazione e quelle declamate, donate al pubblico che le muta in sorriso, in attesa, in pena, in condivisione…

Apre l’incontro Vittorio Gaeta, racconta di “Leggere dentro”, così il titolo del laboratorio di lettura promosso nell’ambito delle iniziative di Itinerario rosa, che ha visto, in corso d’opera, l’aggiungersi di un piccolo gruppo di attori dei Cantieri Teatrali Koreja – Carlo Durante, Anna Chiara Ingrosso, Emanuela Pisicchio – per sostenere il training teatrale del gruppo. Leggere ma anche essere leggère. La parola si presta al gioco dell’intrecciare “senso” e, declinata nell’accezione della leggerezza bene abita dentro chi si dispone all’accogliere e al dare. Al farsi dono… scena, atto! Teatro. “Pubblica lettura” in questo caso. Ma non solo tanta è la carica teatrale che dalla pagina fugge all’incontro… Il suono di una fisarmonica introduce le lettrici-attrici. Vengono avanti dal fondo della sala.
Io sono! C’è un io sono, che arriva forte con la lingua giocata nella vertigine dei suoni, in equilibrio su linee di dialetti che sì intersecano dando costrutto al lavoro. Un suo stile, una modalità drammaturgica netta, definita, da compagnia affiatata e affinata nel lavoro: nello stare insieme. Il teatro vede anche dove c’è l’assenza, dove il vuoto assedia crea relazione, incontro, scambio vivo.
La sequenza è serrata, battute veloci, piccole gag fanno da elastico tra una lettura e l’altra. La storia viene agli occhi: la morte, l’amore, l’azzuffatina, il rischio d’andare a finire in galera – un posto dov’è difficile entrare ma da dove è ancora più difficile uscire – il processo più breve della storia di tutti i processi, e poi l’applauso finale che non vuol finire…