Siamo tutti pazzi! Al Cineporto le fotografie di Piero Marsili Libelli
di Andrea Cariglia
Sono lacerato, preoccupato dal pensiero che siamo tutti spinti verso la nevrastenia presi dalla frustrazione di non sentirci qualcuno, di non riuscire ad accaparrarci un nostro piccolo successo. Oggi (per chi legge, venerdì 23 maggio ndr) si inaugura la mostra fotografica di Piero Marsili Libelli intitolata “Siamo tutti Attori”. Ho un aneddoto da raccontare su questa serata.
Io non conosco Piero così bene, tutti mi dicono che è un fotografo importante amico dei più importanti registi del periodo d’oro del cinema italiano. Per conto mio so di lui solo quello che ho potuto leggere in una grande fotografia che ha regalato a mio fratello e sulla quale ho speso tanto tempo per cercare di valutarla, penetrarla, comprenderla, leggerne tutto l’intreccio di storie che raccoglie. Solo da poco tempo posso dire di essermi abituato a questa fotografia. Abituato nel senso che ora riesco ad accettarla nella mia vita nonostante sia così ingombrante (occupa infatti un’intera parete). Allo stesso modo, ho pensato, dovrò abituarmi a questo Piero, con la sua ingombrante persona continuamente sulla bocca di tutti.
Decido di partecipare a quest’incontro diciamo mondano (anche se per il vero era aperto a tutti con tanto di giganteschi cartelloni per le strade che ne pubblicizzavano l’evento) così raggiungo mio fratello al Cineporto di Lecce. Passeggio tra le pareti tappezzate di foto. Mi perdo tra le steppe di qualche lontano paese, negli occhi esotici di fanciulli lontani, prediligo le fotografie occasionali, il mondo che corre incontro la macchina da presa e viene immortalato in un istante deciso chissà da chi. Ci sono anche dei veri e propri set che il fotografo ha costruito nell’intento di decodificare i suoi sogni, le sue fantasie, i suoi pensieri (o una rappresentazione di essi); ma gli ho trovati troppo edulcorati, semplificazioni estreme di uno dei tanti paradossi della nostra mente. E poi tante e tante immagini del suo passato. Scatti rubati o regalati da gente importante, divi del rock, del pop, del cinema, del bit. Insomma tanti volti. Sparsi nel tempo e nello spazio.
Poi ad un certo punto – immancabilmente data la qualità delle mie ossessioni – rivolgo la mente a questo pensiero: e se quest’uomo, già così importante, uno straordinario artigiano, un navigato fotografo, avesse organizzato questa mostra per dimostrare con i fatti che tutto quello che ha raccontato è vero che tutto quello che dice di aver fatto è vero? E se costui ha riesumato dalla tomba il suo almanacco di volti noti per sorprenderci, per sorprendere – quanto facile è in fondo – la provincia con la quale si è legato della quale fors’anche s’è infatuato?
Da questi pensieri mi distoglie la voce di Libelli che mi si rivolge dicendo qualcosa che ora non ricordo, ma che presumo fosse un commento o un’informazione sulla fotografia che avevo davanti in quel momento. A quel punto gli dico: «Ho l’impressione che queste foto abbiano poco in comune una con l’altra». A questa affermazione lui non sembra sorpreso ma sa tuttavia cosa rispondere. «Pensa al titolo della mostra mio caro:
Siamo tutti attori». E si, è vero mi dico, non ci avevo pensato. «Come vedi qui ci sono foto di persone importanti a fianco di gente comune. In quella foto lì puoi vedere Antonioni. E nella foto accanto un pastore sulle montagne dell’Albania. Lì un oste ed una anonima principessa quì Federico Fellini e Akira Kurosawa nella hall del Grand Hotel del Lido. Ma sono tutti attori nella vita». «Guarda qui, tra questa selva di volti ignoti: cerca di riconoscere ciascuno, il ruolo che interpreta» aggiunge.
Quello che dice non lo condivido, non fa parte del mio carattere. Quantomeno, mi sono detto, ci saranno attori consapevoli – per esempio Fellini e Kurosawa nella hall del Grand Hotel del Lido di Venezia – e attori inconsapevoli – come i fanciulli dietro le sbarre di non so che costruzione, casa o prigione, di un paesino sperduto dell’Afghanistan.
Poi l’attenzione mi cade sulla riproduzione di una fotografia contenuta nella brochure (della foto c’è anche l’ingrandimento sulla parete). Sono raffigurati in primo piano sette uomini pelosi e barbuti tra cui si possono riconoscere Gianni de Blasi e Mino de Santis, due volti più o meno noti del nostro panorama di provincia. Tutti insieme assomigliano a dei motociclisti o a dei carrozzieri non saprei dire meglio; alcuni hanno le barbe bianche altri i capelli folti come la criniera di un leone, sullo sfondo pile di auto accatastate in quella che potrebbe essere un’autodemolizione.
La foto è intitolata “Mino de Santis e Gianni de Blasi”. Sbalordisco! Ma non si era detto che siamo tutti attori? Anche il netturbino, l’impiegato il pollo il tacchino il pastore il pastore tedesco quelli lì con la mascherina che sotto i camini dell’Ilva protestano inutilmente; sono un attore io? A chi conviene che io sia un attore?
Da ciò potrà sembrare a qualcuno che io ne stia facendo una questione morale. A me sembra proprio così. Ma anche estetica perdiana! Perché così come forma e contenuto sono indissolubilmente legati nella visione dello spettatore, allo stesso modo sono legate etica ed estetica nel momento in cui l’artista si dispone a compiere delle scelte. Di conseguenza arrivo a due conclusioni: 1 che il rapporto attore spettatore penda ormai definitivamente dalla parte dell’intrattenimento più inutile, dello sproloquio più conformista; 2 che tale sproloquio faccia chiaramente gli interessi di qualcun altro – un terzo ente – che esprime la sua caratteristica principale nella totale ignoranza di se stesso.
Detto questo, consiglio – a chi ne abbia la possibilità – di andare a vedere la mostra di Piero Marsili Libelli perché, come mi sembra di aver affermato fin qui, queste fotografie hanno molto da dire a chi abbia voglia di ascoltarle.
Andrea Cariglia
Le fotografie di Piero Marsili Libelli al Cineporto di Lecce fino al 20 giugno
La mostra è visitabile dal lunedì al venerdì dalle 10 alle 13 e dalle 15 alle 18
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