di Marcello Buttazzo –

A Ilaria Salis il giudice ungherese Jozsef Sòs, alla fine della seconda udienza, ha negato i domiciliari in un appartamento di Budapest. La trentanovenne insegnante italiana, antifascista, rimane chiusa in una poco ospitale prigione. Nell’aula di tribunale, ancora una volta, Ilaria ha dovuto sfilare con le catene, con i ceppi, con il guinzaglio. I partiti italiani d’opposizione sono vicini alla giovane insegnante, che ancora oggi è costretta a trascorre 23 ore al giorno relegata in una piccolissima cella con altre 5 recluse. Nel tribunale ungherese erano presenti 7 parlamentari di Pd, Avs, Movimento 5 Stelle, Italia viva. Parimenti, possiamo notare nella fattispecie la latitanza asssoluta del governo Meloni, che per molti mesi è stato addirittura all’oscuro della triste vicenda. Come giudicare politicamente e moralmente un esecutivo che permette ad un Paese (l’Ungheria) di trattare una cittadina italiana come una pericolosa criminale? L’Ungheria, verosimilmente, con Ilaria Salis sta violando diritti fondamentali della persona. Come giudicare il nostro governo che non ha la forza e il carisma per farsi sentire dall’amico Orban? Il padre Roberto Salis continua a ripetere: “Dobbiamo tirarla fuori di lì”. Dovrebbe essere l’obiettivo primario di Meloni e di Tajani. E magari anche della leghista Simonetta Matone che, invece di fare sterili polemiche politiche, farebbe bene (da ex magistrata) a riconoscere il valore inalienabile dei diritti del detenuto e della Carta dei diritti umani.

Marcello Buttazzo