di Marcello Buttazzo –

Bruce Hunter è un grande poeta e scrittore canadese. Nel 2022 il suo libro “A life in Poetry” è stato pubblicato in Italia. Bruce è rimasto sordo da bambino e ha sofferto di ipovisione per gran parte della vita adulta. È cresciuto nel quartiere operaio di Ogden, all’ombra della raffineria Imperial Oil della Esso. Dopo le scuole superiori, ha lavorato come manovale, operatore di attrezzature, autista di macchina del ghiaccio, come giardiniere e arboricoltore. Alle soglie dei trent’anni, le sue poesie gli sono valse una borsa di studio alla Banff School of Fine Arts. Le sue poesie, la sua narrativa e la sua saggistica creativa sono apparsi in oltre 80 blog, riviste e antologie internazionali in Italia, Canada, Cina, India, Romania, Regno Unito, Stati Uniti. Fra i vari riconoscimenti ricordiamo, nel 2010, il premio Acorn – Plantos Peoples’ Poetry Award per il Canada. Bruce Hunter è membro a vita della Canadian Hard of Hearing Association (C.H.H.A.) e del Canadian National Institute for the Blind ( C.N.I.B.). Da poco, nel febbraio 2023, è uscito per i Quaderno del Bardo edizioni un suo libro di versi dal titolo “Galestro”. Il titolo del volume è emblematico e sintomatico. Galestro è un terreno arenoso, ricco di minerali, che si trova nei vigneti del Chianti in toscana, dove Bruce Hunter ha compiuto un viaggio conoscitivo e introspettivo. Noi umani siamo figli delle stelle. Siamo prodotti delle stelle in collasso, siamo fatti della loro materia. Come scrive Carl Sagan, “l’azoto nel nostro Dna, il calcio nei nostri denti, il ferro nel nostro sangue, il carbonio nelle nostre torte di mele sono stati prodotti all’interno di stelle in collasso”. L’anziano dei Piedi Neri, Narcisse Blood viene descritto con amore da Hunter nei suoi versi. Il Popolo delle Stelle, gli anziani dei piedi neri sono dei saggi. Loro sanno che dalle particelle stellari proviene il vino, le nubi, gli atomi. Particelle stellari più antiche dell’amore. Di notte, fuori dalla tenda del Popolo delle Stelle, i cavalli nitriscono e la luna s’abbassa. Il poeta è una grande anima. “Galestro” è dedicato a Lisa, il suo amore, la sua stella, ai figli, ai nipoti. In apertura del libro, ci sono alcuni versi di Fabio Strinati, musicista e poeta italiano, che tratteggia con sensibilità di albero, di frutto, di linfa, di pioggia, di orti innamorati, la venustà della Natura. Scorrendo i versi di “Galestro”, si resta incantati e favorevolmente impressionati per la descrizione magica dei paesaggi. Si resta colpiti dall’attaccamento di Hunter per la madre Terra, un legame primigenio, fanciullo, che reca una meraviglia strabiliante. Hunter è un poeta che gira il mondo; purtuttavia, le sue radici sono stanziali, sono intimamente ancorate alla sua Terra. Solo chi è vincolato e stretto visceralmente in un abbraccio fraterno alle sue contrade natie, all’occorrenza può anche sradicarsi e iniziare un percorso amorevole verso altri luoghi. “Galestro” è un cammino poetico per luoghi ambiti, illesi. Lo stile di Hunter è colloquiale e familiare, l’incedere a volte cede il passo a un registro più prosastico. Epperò, è sempre grande poesia. Che potremmo definire “poesia antropologica”, densa di storia, di storie, di biologia delle popolazioni umane. I rimandi ai miti sono continui. “Galestro” s’anima d’una varia e ricchissima umanità. L’uomo del sax, mentre i tram borbottano, è chino su una sedia pieghevole. Lui attacca un vellutato “Tike Five”. C’è un’umanità, in questo libro, pullulante di bellezza, come lo zio reso sordo da una bomba di guerra. E la strada è maestra di vita. Qui s’incontra Katie, la strillona, un uomo con un uncino d’acciaio per mano, che infilza una mela per darla alla sua ragazza. Jimmy e il suo compare Roberto corrono sulla sedia a rotelle elettronica lungo i lati opposti della strada. Gibson, il cieco, spaccia occhiali da sole e fischia a tutte le ragazze, gridando: “Bimba, che sei bella lo sento dall’odore”. Commovente è l’omaggio del poeta alle nonne scozzesi. Le loro casette sapevano di brodo e di canfora. La cultura naturalistica di Hunter è spiccata, meditata, praticata sul campo. E nei versi assume una veste lirica. Il poeta rammenta il fiume e la diga dei castori dove pescava, a Lynnwood. Qui, la casa dove stava sua sorella è stata abbattuta dai bulldozer, l’ampia prateria albina è scomparsa, anche la palude, anche le loro piante. A quattro isolati dalla sua scuola d’infanzia, campeggia la raffineria Esso. Purtroppo, la mano antropica e distruttiva dell’uomo moderno non ha molta premura della adamantina purezza della Natura. Nei versi, Hunter rammenta il suo apprendistato da operaio. Lui andò in cerca dell’attrezzo mitico: il gancio per il cielo. Ad una donna ebrea dedica parole sensuali:

Nel dolce calore d’estate,
la ragazza ashkenazita s’accovaccia sulle cosce abbronzate
nel morbido terriccio del giardino,
mangia pomodori macchiati dalla pioggia della notte,
catturando goccioline con la lingua.

Come abbiamo già scritto, alla memoria di Narcisse Blood, noto anche come Toro Medio, anziano dei Piedi Neri/Kainai, dedica una poesia stupenda. Il Popolo delle Stelle davvero sa della pioggia, della luce, dell’inizio dell’acqua, dell’amore. La seconda parte di “Galestro” è un canto ininterrotto, in particolare dedicato a Firenze. Alla Galleria dell’Accademia a Firenze, un vecchio solitario con gli occhi arrossati si inchina verso il David di Donatello. Un vecchio stupito guarda il David. Sulle sponde dell’Arno appare una giovane e bella donna in bicicletta. Somiglia a Ornella Muti. Nell’osteria, la oste Alice. Il viticoltore Francesco sa mediare la pioggia e il vino, alchimia e preghiera. Gli acchiappanuvole catturano la nebbia. E anche sopra i borghi delle Cinque Terre, svetta la Natura con i suoi papaveri rosseggianti d’amore (“I papaveri liguri brillano come un faro sul mare/non avvertono, non salutano col loro rosso arrivederci”). “Galestro” è una raccolta di poesie che apre scenari di immaginazione. Bruce Hunter ritiene di aver viaggiato nei suoi sogni. “E i sogni in cui posso vedere e sentire ogni cosa./La strada che va sempre verso casa, ovunque io sia”. Il sogno è uno stratagemma esistenziale e vitale, necessario, irrinunciabile, per rendere meno aspra, meno spietata, ancora vivibile, questa realtà ordinaria e effettuale.

Marcello Buttazzo