di Antonio Zoretti –

Su “PADRONE DOVE SEI”, un film di Carlo Michele Schirinzi

Andiamo a vedere la Beata Ludovica Albertoni o Santa Teresa d’Avila del Bernini. Le loro estasi, i loro orgasmi, i loro venir meno da monache, non appartengono al discorso. Lo mancano, il discorso non gli appartiene e quindi non sono più loro.
Allora, se noi parliamo siamo perennemente nel discorso, così che il linguaggio ci fotte e noi non ce ne accorgiamo, e restiamo sempre nella parola. L’esperienza mistica, invece, trascende il pensiero, annullandolo e superandolo, per raggiungere e tangere veramente qualcosa. Esce fuori dunque dalla vita chiusa e circoscritta della discussione filosofica e dalla condizione limitante della Storia, attraverso uno sbocco del pensiero. Questo i mistici lo sanno bene, soprattutto le donne, in quanto il misticismo è altamente femminile più che maschile, nella loro dimensione prettamente religiosa. 

L’autore di “Padrone dove sei” annulla il linguaggio, esaltando e simulando la suddetta esperienza. Il gesto masturbatorio reiterato e in più occasioni esibito fa cessare la volontà dell’uomo, abbandonandolo nella sua tensione mistica simulata dall’animo suo in ascesa. Questo caratterizza il distacco sia dalla conoscenza sensibile sia da quella razionale ed infine dalla vita stessa, come dimostra sua madre in procinto di lasciarla per ricongiungersi con l’Assoluto, con Dio. 

Schirinzi si cala anima e corpo in questa dimensione religiosa, come per induzione, mostrando il vuoto che ci portiamo dentro, ponendosi al di sopra di tutto. Come se fosse un punto d’arrivo da sempre cercato, egli apre il suo personale e privato risultato ad un pubblico attento che da tempo segue il suo operato. 

Così come Montale, nel  suo: “…codesto solo oggi possiamo dirti, ciò che non siamo, ciò che non vogliamo…”, chiede di non fare domande circa il senso della vita dal momento che egli non è in grado di dare una risposta se non qualche nozione secondo la sua soggettività…; così Carlo Michele Schirinzi, attraverso le sue immagini sonore, anima ed offre l’occasione di scoprire cos’è la vita, di toccare la vita invece del senso; senza parlare, senza dire niente, come un discorso musicale privo di significati verbali. È un discorso altro, il suo, non destinato al linguaggio. Il film non dice nulla, nell’esatta misura in cui è anche vero che esso dice tutto. Come la musica, insomma. Allora non resta che, in tutto abbandono, lasciarsi comprendere dalle immagini e dal suono, senza la nostra volontà d’intenzione. 

“Questo solo oggi possiamo dire…”