Lia Levi, il “racconto della storia”
di Antonio Stanca –
Questo mese in occasione della “Giornata della Memoria” Il Sole 24 Ore ha presentato, in allegato, due opere di Lia Levi: Una bambina e basta raccontata agli altri bambini e basta, da Martedì 10 Gennaio, e Tutto quello che non avevo capito. Una bambina e basta cresce, da Martedì 17 Gennaio.
La prima risale al 1998, la seconda era ancora inedita e di recente è stata pubblicata da HarperCollins Italia. Le illustrazioni sono di Zosia Dzierżawska.
Lia Levi è nata a Pisa nel 1931, ha novantadue anni e vive a Roma. La famiglia, di origini piemontesi, aveva ascendenze ebraiche. A Roma Lia ha studiato, si è laureata in Filosofia, si è sposata, ha avuto figli e per parecchi anni ha diretto il mensile degli Ebrei Shalom da lei fondato. Al giornalismo, alla sceneggiatura si è dedicata prima di giungere alla narrativa. Sarebbe avvenuto intorno agli anni ’90 e molti romanzi avrebbe scritto se si calcolano anche quelli per ragazzi. Le avrebbero procurato numerosi riconoscimenti. Nei romanzi proposti ora da Il Sole 24 Ore ricorda la sua vita, prima di bambina, poi di adolescente, prima a Torino, poi a Roma. Prima era il periodo delle leggi razziali del 1938 da parte dei fascisti, dei divieti stabiliti per gli Ebrei, poi quello del dopoguerra, quando tanto, tutto era da rifare.
Non ci poteva essere modo migliore per celebrare la “Giornata della Memoria” se non con queste due testimonianze provenienti da chi ha assistito ad una vita che cambiava completamente e in peggio e ad una storia difficile da ricomporre. È un’epoca intera quella compresa tra i due romanzi, è l’epoca tra il fascismo e la fine della seconda guerra mondiale. Lia l’ha vissuta, è cresciuta mentre eventi molto gravi si succedevano, mentre limitazioni, privazioni di ogni genere intervenivano nella vita di ogni giorno, specie in quella degli ebrei, mentre tanti pericoli, tanti rischi sopraggiungevano, tante minacce incombevano.
Avvince, commuove il suo modo semplice, ingenuo di raccontare tempi, eventi così difficili. La sua è la ragione della bambina, della ragazza che, tuttavia, non rinuncia a riflettere, a chiedersi le cause del disastro, a pensare come risolverlo, a immaginare che l’aiuto, la collaborazione potrebbero servire. S’intravedono nei pensieri della bambina che fugge, si nasconde insieme ai suoi, che ha paura ma che pure gioca con i compagni, sogna una vita diversa, quelli che sarebbero stati i motivi ispiratori della sua opera, gli elementi fondamentali. Quelli che l’avrebbero portata a concepire la sua particolare maniera di scrivere, “raccontare la storia” senza rimanere nella cronaca ma animandola con i pensieri, i sentimenti, le aspirazioni di chi la vive. Il “racconto della storia” sarebbe stata definita questa maniera, la storia era soprattutto quella sua, della sua famiglia, della sua gente, quella delle disgrazie, delle sciagure alle quali era esposta.
Non sarebbe stato, però, un semplice riporto perché sempre, pur nelle circostanze peggiori, sarebbe emerso quanto si pensava di fare, quanto si era fatto, come ci si poteva salvare, come ci si era salvati. Uno stato di continua divisione, sospensione tra rassegnazione e aspirazione, tra paura e speranza avrebbe caratterizzato il “racconto della storia” della Levi, un genere letterario solo suo sarebbe stato.
Solo quella bambina, divisa tra le pene e le gioie, i dolori e i sogni, avrebbe potuto pensarlo!
Antonio Stanca
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