di Antonio Stanca –

Dario Crapanzano è nato a Milano nel 1939 e qui è morto nel 2020. Aveva ottantuno anni. A Milano si era laureato in Legge e diplomato presso l’Accademia di Arte Drammatica. Aveva cominciato a prendere evidenza con l’attività di pubblicista, poi aveva fatto alcune prove di scrittura, una guida sentimentale negli anni ’60, un romanzo ironico-epistolare nel 2005, finché nel 2011 con Il giallo di via Tadino aveva dato inizio a quella serie di nove romanzi polizieschi che lo avrebbero reso noto. Li aveva ambientati nella Milano degli anni ’50 e protagonista ne era stato il commissario Mario Arrigoni. Nella seconda serie, quella del 2018 composta soltanto di due opere, era comparsa un’investigatrice che era pure una squillo, Margherita Grande.

Con Il furto della Divina Commedia, pubblicato nel 2019 e a Gennaio di quest’anno ristampato per conto del Gruppo Editoriale GEDI, Crapanzano aveva iniziato una terza serie e messo in scena un altro investigatore, Fausto Lorenzi.
È diverso da quelli che lo hanno preceduto poiché svolge il suo lavoro senza seguire un programma, una regola, vi fa rientrare circostanze, situazioni, persone che non riguardano l’indagine, fa posto a necessità, richieste sue proprie, del suo spirito sempre bisognoso di acquietarsi, sempre alla ricerca di quanto può rassicurarlo. Non è il poliziotto sicuro di sé, irreprensibile, inamovibile, convinto del suo lavoro ma l’uomo attraversato da molti dubbi, da molte incertezze, non è forte ma debole. Tra l’altro vive separato dalla moglie anche se non ha mai rinunciato a farsi vedere a casa con una certa frequenza poiché molto legato al piccolo figlio, sempre disposto a capire i suoi bisogni, a seguirlo nella sua formazione. Anche presso i vecchi genitori si fa vedere, legato è pure ad essi e difficile gli riesce rimanere solo nella casa dove si è sistemato dopo la separazione. Percorre le strade del quartiere con la Vespa quando non è in servizio. La sua condizione economica è modesta, la sua Milano è quella di più di mezzo secolo addietro, quella a misura d’uomo. C’erano ancora dei locali pubblici, bar, trattorie, rosticcerie, gelaterie, cinema, teatri, che erano un riferimento, un richiamo, che tutti conoscevano, frequentavano per quel che offrivano e perché costava poco, c’era ancora molta gente a piedi, le distanze erano ridotte, ci si vedeva, ci si ritrovava, il centro storico era molto abitato, si svolgeva molta vita. Questa vecchia Milano il Crapanzano, nel libro, mostra di conoscere molto bene nonostante sia passato tanto tempo. Con sicurezza, con facilità dice dei tanti posti, delle tante case, delle tante strade di allora: è una maniera di procedere che incuriosisce, attira chi legge perché lo coinvolge, lo fa sentire nell’ambiente, dentro di esso. E’ una sensazione di familiarità, di partecipazione che lo scrittore riesce a suscitare, trasmettere e mantenere per l’intera opera grazie pure alla figura del Lorenzi che vicina risulta perché con i pensieri, i problemi di tutti anche mentre fa l’ispettore. Sarà lui incaricato dell’indagine relativa al furto di una copia rara della Divina Commedia di Dante. Risale al Quattrocento e vale moltissimo. Il preside Esposito del Liceo “Marco Tullio Cicerone” di Milano, nella zona di Città Studi, l’aveva comprata ad un’asta perché amava i testi antichi e l’aveva rinchiusa nella cassaforte della scuola.

Soltanto lui, un bidello e la segretaria Rosellini, una signorina molto avvenente nonostante l’età, erano al corrente della combinazione necessaria per aprire la cassaforte. Nonostante tutto la Divina Commedia era stata rubata e Lorenzi aveva cominciato ad indagare ma non era riuscito a ricavare alcun indizio nonostante fosse passato molto tempo. I suoi superiori si lamentavano, la stampa faceva notare il ritardo. Intanto succederà pure, dopo qualche tempo dal furto, che la Rosellini venga trovata morta nella sua casa, uccisa con un colpo di pistola. L’indagine dell’ispettore Lorenzi e del suo agente Tindaro si allargherà, comprenderà un furto e un omicidio, vi cercherà un collegamento ma accuserà sempre una certa lentezza. Quando, però, nessuno se l’aspettava ci sarà un’illuminazione che porterà il Lorenzi alla scoperta del colpevole. La pistola con la quale era stata uccisa la segretaria era una Beretta 1915, in dotazione agli ufficiali italiani che avevano partecipato alla Prima Guerra Mondiale. Il preside Esposito era stato uno di quelli, aveva conservato quella pistola, l’aveva usata per sparare alla Rosellini perché da molto tempo infatuato di lei, perché aveva sofferto nel vedere che si frequentava con il giovane e aitante professore di Educazione Fisica, perché lo aveva rifiutato mentre cercava di possederla.

Per Lorenzi che stava ormai pensando di abbandonare l’indagine sarà un successo, tutto quanto da lui a lungo pensato, supposto si era dimostrato vero. Anche se lentamente aveva risolto il caso. Rimaneva da spiegare il furto della Divina Commedia ma a questo ci avrebbe pensato dopo. Intanto tra le altre cose avvenute durante la lunga indagine c’era stato l’incontro tra l’ispettore e Rossana, una bella e giovane donna che lavorava in un negozio di pelletteria e che aveva accettato di uscire con lui. Ormai si frequentavano e progettavano di stare per sempre insieme.

Come una favola conclude il suo romanzo il Crapanzano poiché ad un esito positivo fa giungere sia i problemi dell’ispettore sia quelli dell’uomo. Entrambi erano stati a lungo travagliati, confusi nella loro posizione, entrambi erano stati premiati.

Antonio Stanca