di Antonio Stanca –

Di recente per conto di Sellerio è comparso il romanzo Solo la pioggia di Andrej Longo. Autore di romanzi e racconti Longo è nato a Ischia nel 1959, si è laureato in Lettere al DAMS di Bologna e ha cominciato come collaboratore di opere teatrali, radiofoniche, cinematografiche. Alla narrativa è giunto nel 1992, quando aveva trentatré anni. Il primo lavoro era stato il racconto Prima o poi tornerò uscito insieme ad un altro di Lina Wertmüller. Poi erano venuti i romanzi e le raccolte di racconti dove aveva evidenziato le sue qualità, le sue capacità di aderire tanto alla realtà da sembrare che la fotografasse, che ne facesse una serie di ritratti. Vero, autentico vuole essere Longo ma anche intimo, profondo. La sua verità non rimane in superficie, non si limita alle apparenze ma si rivolge pure all’interno, all’anima, ai suoi segreti.

Più volte è stato premiato per le sue narrazioni. Uno dei più nuovi e capaci scrittori italiani del momento viene considerato. Lo conferma quest’ultimo romanzo dove riesce a costruire nello spazio ridotto di una stanza e nel tempo limitato di una notte sferzata continuamente dalla pioggia una vicenda talmente tesa da assomigliare ad una scena teatrale interpretata fino alla fine dagli stessi attori. Questi sono i tre fratelli Corona, Carmine, Papele e Ivano, il più piccolo. Sono ricchi, hanno ereditato dal padre un grosso cantiere edile, sono molto rispettati nel loro paese sull’isola. Nell’edilizia sono impegnati Carmine e Papele mentre Ivano ha studiato anche perché diverso nel carattere, nel modo di pensare, di fare. Non è deciso come loro, è più debole, più fragile nel corpo e nella mente, esposto a turbamenti, ripensamenti, paure, stati di malinconia che possono durare molto tempo.

Ogni anno, quando ricorre il giorno della morte del padre, i tre sono soliti ritrovarsi da soli senza familiari, visitare la tomba paterna e concludere la giornata con un’abbondante cena a casa di Ivano, che a differenza degli altri non è sposato e di cucina se ne intende. Preparerà pietanze che saranno gustate e apprezzate dai fratelli. La serata inizierà nei modi di sempre tra battute scherzose, risate e bevute. Durante la cena molte saranno le lodi, da parte di Carmine e Papele, nei riguardi di Ivano e dei suoi piatti, non si sentiranno mai sazi tanto sono buoni. Disturba quella riunione la moglie di Papele che lo chiama spesso al telefonino per dirgli dei bambini che senza di lui sono scontenti. Ma ad un’interruzione vera e propria si arriverà quando Ivano, pensando che quella sia la circostanza giusta, rivelerà ai fratelli il suo segreto. Appena lo esorteranno a sposarsi, a mettere su famiglia, dirà di essere omosessuale facendoli cadere in uno stato di grave sorpresa, di amarezza, di sconforto. Inizierà, soprattutto tra Ivano e Papele, una lunga, interminabile discussione durante la quale Papele cercherà di convincere il fratello che dei suoi problemi sessuali non avrebbe dovuto parlare poiché sarebbe nociuto al decoro della famiglia, al rispetto del quale godevano in paese, alla campagna elettorale alla quale Carmine aveva intenzione di partecipare. Gli aveva pure detto che meglio sarebbe stato se cambiasse residenza, se si trasferisse in un altro posto. Di fronte alle contrarietà di Ivano, alla sua decisione di non allontanarsi dal paese e di non nascondere la sua sessualità pur se “diversa”, Papele s’inquieta, si arrabbia al punto da minacciarlo, spaventarlo. Crede, così, di fargli cambiare idea ma visto che non ci riesce pensa di ricorrere a modi più decisi senza volergli fare del male. Succederà, invece, che Ivano non resista a quelle che stavano diventando vere e proprie torture e che, cagionevole di salute, venga meno, muoia asfissiato dalla sciarpa che Papele gli stringe intorno al collo solo per convincerlo. Spaventati Carmine e Papele non chiameranno nessuno, non lo diranno a nessuno e penseranno di farlo passare per un suicidio. Saranno, però, assaliti, perseguitati da un senso di colpa, da un tormento così grave, così ossessivo da giungere entrambi a farla finita con la propria vita mentre quella notte tornano a casa. Aveva fatto da sfondo unico, desolato, a quella terribile vicenda una pioggia durata tutta la notte, il suo rumore assillante, inquietante. In una stanza così isolata, tra i tuoni e i lampi di una notte così profonda, tre fratelli avevano pensato di stare insieme, di onorare la memoria del padre. Uno aveva creduto che la confessione dei suoi problemi gli avrebbe procurato ascolto, comprensione, conforto, aveva fidato nella famiglia, nella sua funzione, nella sua disposizione ad accogliere, capire chi vi appartiene. Escluso, isolato, ucciso era, invece, rimasto. Al dramma, alla tragedia si era giunti. Con la morte di tutti si era conclusa quella festa, senza fine era diventata quella notte.

Fa pensare Longo, fa riflettere su come si possa giungere a situazioni estreme muovendo da circostanze che non le lasciano prevedere, su quanto grave possa diventare un problema se non lo si vuole intendere, su come sia possibile farsi travolgere da esso. Sono domande che inquietano perché ancora oggi sono senza risposta.

Antonio Stanca