di Marcello Buttazzo –

“Ci sono scrittori che scrivono senza punteggiatura
Per lasciare il segno, nella storia della letteratura
                                        Ai poeti basta una virgola”

La scrittura di Donato Di Poce è piana, comprensibile, è chiara come l’acqua di sorgente. Una scrittura onesta, senza ridondanze, senza barocchismi, senza inutili orpelli. Una scrittura essenziale, sostanziale, che scava nel fondo del fondo, che va alle scaturigini dell’essenza, che sa disvelare l’invisibile. Una scrittura elegante, lirica, che asseconda il suono dei centomila violini, e la lira della poesia più vera. Questo impegno programmatico è palese nelle opere in prosa, nei saggi, nelle poesie, negli aforismi dell’autore. Donato Di Poce è uno dei più importanti poeti e aforisti italiani. Ama definirsi ex poeta che gioca a scacchi per spaventare i critici. È anche critico d’arte, fotografo, scrittore di poesismi. Artista poliedrico, innovativo ed ironico, dotato di grande umanità e CreAttività. Ha pubblicato 43 libri (tradotti anche in inglese, arabo, rumeno, esperanto e spagnolo), 20 ebook e 40 libri d’arte Pulcinoelefante. Vive a Milano. L’autore è molto prolifico, pienamente consapevole della funzione di sostegno della parola. In questi giorni, è appena uscito il suo nuovo libro di aforismi “Una virgola per pensare”, pubblicato dai Quaderni del Bardo edizioni, con un bel disegno in copertina di Max Marra. Gli aforismi di Donato Di Poce sono stati definiti da molti critici con il neologismo di “poesismi”. Le massime dell’autore seguono un registro poetico elevato, sono una gemma etico-linguistica, hanno un incedere armonico. Di Poce non predilige i massimalismi, né le trovate ad effetto: il suo procedere minimalistico da un punto di vista linguistico apre scenari di sole e visoni lungimiranti, da ascoltare prima con il cuore, con l’anima, e poi con gli occhi e con le orecchie. Nei suoi ingegnosi poesismi l’autore segue vari e multiformi registri stilistici: l’ironia è preponderante, ma anche l’invettiva, il lirismo, la riflessione filosofica, sono pregnanti. Bruno Munari sosteneva: “Quello che non si può dire in poche parole, non si può dirlo neanche in molte”. È la filosofia di scrittura anche di Donato Di Poce, che nei suoi aforismi in poche battute riesce a condensare universi, a scrutare orizzonti, a svelare vissuti. “In “Una virgola per pensare” appare evidente, tra le altre cose, la passione dell’autore per gli ultimi, per gli invisibili. Il suo amore per la bellezza. E il suo malcelato sentimento di umanità (“Smetterei di scrivere all’istante/Se solo avessi qualcuno da abbracciare. /”). Inoltre, ho potuto notare che i poesismi hanno una mansione pedagogica. Ho compreso, scorrendo le pagine del libro, che le vere poesie non sono liquirizie emostatiche, ma elisir visionari che aprono nuovi mondi. E ancora ho capito che i poeti non devono insegnare nulla, ma essere grondaie d’acqua poetica, germogli d’inchiostro selvatico, papaveri rossi fra le zolle di solitudine. Si desume dai poesismi di Donato che si scrive solo per vivere tra infinite distrazioni e che le parole sono silenzi scritti, che a volte nel cuore degli illuminati iniziano a danzare e diventano poesia”. “Una virgola per pensare” vuole essere un discorso serrato sul tempo, sul sogno, sul dolore, sulla vita. Dobbiamo non perdere tempo a inseguire il tempo, dobbiamo lasciarci attraversare dal tempo. Così la bellezza interiore germoglierà come piccoli semi di futuro senza tempo. L’autore sa bene che la scrittura sa ricucire le ferite della vita. Ma il dolore resta cucito addosso come una ferita che non si può nascondere. Nel libro, si manifesta, sovente, un malcontento e un’ironia corrosiva nei confronti degli stupidi al potere, e nei confronti di quegli autori portatori del cosiddetto poetichese. Il poetichese è una lingua primaria inesistente, che fa il verso alla poesia, ma non ha forza, non è vera poesia. Il poetichese insegue le mode e i vezzi di aspiranti poetucoli o poeti affermati aureolati. Il poetichese cerca l’applauso, il plauso e il consenso facile, l’esatto contrario della lingua vera della poesia che è nuda, sperimentale, va controcorrente, è onesta e libera. Tanto che, a un certo punto, Di Poce scrive:

“L’arte e la poesia vera si raccoglie
Tra i rovi della realtà quotidiana
Tra le spine del dolore e della verità
Il resto è tutto Kakkademia”

Di Donato mi colpisce positivamente la sua immensa umanità, il suo essere uomo fra gli uomini, umile fra le persone. Un grande poeta del suo livello può dire:

“Non esistono vite sbagliate
Ma solo solitudini incomprese
E amore non ricambiato”

I poeisismi di Donato Di Poce, offrono, tra l’altro, una lettura antropologica ad ampio spettro. Noi uomini siamo oasi di possibilità inesplorate, semi di bellezza nascosti tra le crepe dell’esistenza, briciole di futuro che sbocciano tra le zolle d’inferno quotidiano. Siamo sogni bagnati di dolore, macchie di colore stese ad asciugare. Alcuni poesismi hanno dediche specifiche, a Tiziana Cera Rosco, a Clara Monteio, a Nicola Vacca, a Paola Scialpi, a Sergio Carlacchiani, a Nicola Manicardi, a Ulisse Casartelli, a Chiara Evangelista, a Marisa Femia, a Flaminia Cruciani. A questo punto vorrei pormi la domanda: perché leggere “Una virgola per pensare”? Ricordo che, tanti anni fa, acquistai un libretto di versi dal titolo: “110 poesie per sopravvivere”. Nel libretto, figuravano, tra gli altri, autori come Baudelaire, Keats, Sbarbaro, Gatto, Caproni. Ebbene, i grandi autori come Di Poce meritano d’essere letti, ascoltati, perché hanno sempre qualcosa da mostrare, da donare. Per di più, Di Poce sa conservare la purezza e lo stupore fanciullo, prerogative primarie del saper incontrare il mondo:
“Da grande voglio fare il bambino.
Giocare, crescere e sognare”

Marcello Buttazzo