di Marcello Buttazzo – Le questioni bioetiche sono molto delicate, sono carne viva e spirituale bordeggiata sulla pelle della gente. Certe tematiche sono zone limite, di confine, terre molto perigliose: sicché talvolta appare estremamente difficile legiferare. Sono aspetti controversi, che spaccano trasversalmente i partiti politici e scuotono intimamente la gente. Anche se poi tra gli enunciati rigidi e assolutistici dell’etica confessionale e le esigenze pragmatiche della morale laica, si staglia una praticabile etica della cittadinanza. L’aborto, ad esempio, è una enorme questione, che ha trovato, in Italia, una legge ottima, che ci invidia tutta l’Europa. Una normativa equilibrata, di sapore laico. L’interruzione volontaria di gravidanza, entro meati precisi, procede nel nostro Paese, anche se talvolta bisogna stare all’erta dalle pretese ossessive dei cosiddetti obiettori di coscienza, che popolano gli ospedali (non solo per convinzioni morali precipue, ma talvolta per mera convenienza professionale). In senso più stretto, meno dilatato, possiamo anche chiederci: può avere valore e giustificazione, in certuni casi, “un diritto di non esistere”? Si può commettere un abuso e una inosservanza d’una norma morale, talvolta, non facendo nascere un individuo? Ed ancora, la vita è sempre sacra e intangibile e non può essere in alcun modo violata? Sono quesiti intriganti, che interrogano le coscienze, le scuotono profondamente. L’etica tradizionale non transige ed insiste nel non condividere “l’aborto terapeutico”, perché “in queste pratiche abortive di terapia non se ne vede l’ombra; uccidere una vita, ancorché malata, non è certo un modo per guarirla, ma semplicemente sbarazzarsene”. La questione aborto è di assoluta pregnanza, è lacerante, frammenta le coscienze e innalza staccati fra le morali. Fuori dalle diatribe contingenti e dagli inasprimenti vari, la donna dovrebbe essere risolutiva, sempre ascoltata, in grado di superare l’impasse con il buon cuore. La donna, in nome del sacrosanto principio di autodeterminazione, può comunque fare la scelta più oculata. Purtuttavia, possibili gravi controversie e dispute giuridiche s’affacciano all’orizzonte. Secondo certuni, i genitori che fanno nascere un figlio irreversibilmente malato potrebbero essere finanche sanzionati penalmente. La sfera del diritto e dell’etica entrano in stretto contatto, s’intrecciano, creando una fitta trama, scrutando intimamente nei fatti all’interno dell’anima, del corpo, della mente femminili. Certo, “la vita imperfetta” è degna di massima attenzione, di calore, di cure amorevoli. Ma deve essere preminentemente la donna ad essere interpellata, a dare l’ultima risposta sulla gravosità d’una decisione. Decisamente severa appare la posizione di alcuni bioeticisti, che s’appellano alla responsabilità e alla forza morale femminili, alfine di “non offrire false giustificazioni al cosiddetto aborto terapeutico e di accettare la nascita di soggetti portatori di handicap”. La vita è un evento dolcissimo e tragico, essenziale, che non può essere misurato secondo un preciso, ineluttabile e stereotipato metro etico. La donna dà la vita, la presceglie, la predefinisce. Forse, i bioeticisti più intransigenti, dovrebbero tranquillamente accettare le sue libere scelte, mettendo da parte concezioni estreme e apodittiche, che sanno solo generare sofferenze e rinchiudere il vivente in una sterile campana di vetro.

Marcello Buttazzo, 29 ottobre 2017