di Paolo Vincenti –

La satira troppo feroce, portata alle estreme conseguenze può risultare sgradita. Quand’essa tocca alcuni argomenti davvero delicati può rivelarsi di cattivo gusto. Infatti chi parla sempre celiando, chi si burla di tutto e di tutti, finisce che non ha più credibilità, quando parla seriamente. A forza di scherzare, fa la fine del pastorello che gridava “al lupo al pupo” nella celebre favola di Esopo. Far ridere fa bene, ma non ad ogni costo.

E veniamo a quello che è successo qualche giorno fa con la rivista francese “Charlie Hebdò” e la sua sgradevole vignetta sul terremoto italiano del Lazio. Molti si sono risentiti, tutti hanno condannato la sfrontatezza e il cattivo gusto dei vignettisti francesi. Un coro unanime di “buuu” ha accompagnato la loro trovata. Nell’immagine, intitolata «Séisme à l’italienne» («Terremoto all’italiana») le vittime del terremoto che ha sconvolto il nostro Paese vengono paragonate a tre piatti tipici della nostra cultura: «Penne all’arrabbiata», illustrato con un uomo sporco di sangue; «Penne gratinate», con una superstite coperta di polvere; mentre le lasagne sono strati di pasta alternati ai corpi rimasti sotto alle macerie. I disegnatori di Charlie Hebdo, che hanno conosciuto una insperata popolarità dopo l’attentato del gennaio 2015 da parte dell’Isis, utilizzano ora questa gratuita sebbene sanguinosa pubblicità per spararla più grossa. Diciamolo, prima dell’attentato, ben pochi conoscevano la rivista satirica fuori dalla Francia, ed anche in patria il numero delle vendite non era esaltante. Da figli di puttana quali sono dovrebbero fare un monumento ai loro colleghi trucidati, recante come epigrafe una vignetta che raffiguri la rivista intrisa di sangue con i corpi dei morti a panino fra le pagine e la dicitura: “satira alla francese”. “Effettivamente si tratta di spazzatura, senza alcuna utilità”, scrive Robert McLiam Wilson, collaboratore della stessa Charlie,è uno schiaffo in faccia, una provocazione crudele e insensibile. Non raggiunge alcuno scopo qualsivoglia, politico, polemico o morale. È un gigantesco nulla, un vuoto sgradevole e inutile”. E poi si chiede “à quoi ça sert?”, che sarebbe la versione francese del latino “cui prodest?” A che serve? A chi reca vantaggio? Vero che alcuni non riescono a piegare la propria inclinazione alle ragioni di convenienza e decoro e far tacere la propria natura di sbeffeggiatori e irriverenti. Sappiamo bene infatti che a volte le situazioni più banali e ordinarie possono far nascere il riso e ancor di più le occasioni solenni, le cerimonie istituzionali, gli eventi dolorosi. Un funerale può cagionare un attacco insopprimibile di ridarella, specie ai più cinici e cuordipietra. In questo caso, la vignetta di Charlie Hebdò, oltre a far indignare tutti, manca della sua stessa ragion d’essere, l’ironia, lo sberleffo, e la rete stavolta, proprio il popolo dei social che quasi due anni fa aveva gridato “je suis Charlie!”, si dissocia, prende le distanze. Questi maledici spiriti dello sghignazzo tanto oltrepassano il segno che finiscono per essere ridicoli ed osteggiati da quegli stessi che poco prima ridevano delle loro malignità. In effetti, se tutto è risibile, anche la battuta infelice, la gag non riuscita, lo sono. Per paradosso, proprio perché è una battuta che non va a segno, è banale, scontata, cretina, allora suscita il riso, anzi meglio lo sghignazzo; si ride di chi non fa ridere, si schernisce il ridicolo, lo si sbertuccia, canzona. Sberteggiamo Charlie Hebdò!

Paolo Vincenti