di Antonio Stanca

Nel 1998 Mariella Mehr, scrittrice e poetessa svizzera di etnia Jenisch, scrisse Il marchio, il primo romanzo della “trilogia della violenza” che comprende pure La bambina e Accusata e che si è conclusa nel 2002. Ora la casa editrice Fandango di Roma lo ha proposto con la traduzione di Tina D’Agostini. La Mehr è nata a Zurigo nel 1947, ha settantuno anni, vive in Toscana e da bambina e adolescente è stata vittima del programma “Kinder der Landstrasse” che venne attuato in Svizzera dal 1926 al 1974 dall’associazione “Pro Juventute” e che si trasformò in un disastro, nella malattia, nella morte di molti bambini e nella rovina di molte famiglie. Tramite la “Pro Juventute” era il governo svizzero a volere, con questo programma, che i bambini di etnia Jenisch, cioè figli di zingari o di nomadi, venissero sottratti alle loro famiglie ritenute incapaci di dare loro una formazione e affidati a famiglie svizzere. Si pensava che così si sarebbero formati meglio ed avrebbero contribuito al miglioramento della specie umana. In verità di questi bambini venivano cambiati il nome, il cognome e spesso succedeva che venissero chiusi per molto tempo in orfanotrofi o altri istituti d’infanzia. Succedeva, quindi, che se ne perdessero le tracce, che molti si ammalassero, finissero in ospedali, morissero. Solo di recente il governo svizzero ha riconosciuto pubblicamente la crudeltà di quel programma ed ha chiesto scusa.

Anchela Mehr, s’è detto, era stata sottratta alla famiglia e presso altre famiglie ealtri posti era stata. Quando aveva diciotto anni le era stato sottratto ilfiglio ed era seguito, per lei, un lungo periodo di sofferenza, di depressione,di smarrimento che le aveva fatto assumere posizioni di contestazione e l’avevaesposta a pericoli di carattere giudiziario. Si “calmerà” quando nel 1972riuscirà a creare un’associazione di famiglie Jenisch, a combattere controquanto di crudele era avvenuto nei loro confronti, a rivendicare i lorodiritti. Sarà, tuttavia, con la letteratura, la narrativa, la poesia che laMehr troverà il modo migliore per rifarsi di quanto sofferto. Questo processoinizierà nel 1975, quando prima come giornalista poi come scrittricepubblicherà articoli e romanzi tutti incentrati sul dramma della segregazionerazziale avvenuta nella Svizzera dei tempi moderni.

Dal 1996 la Mehr si è stabilita in Toscana, qui lavora, qui è diventata un personaggio ampiamente conosciuto, una delle testimoni moderne più accreditate quando si parla di razzismo. In molti posti viene invitata, dai nuovi mezzi di comunicazione viene ospitata. Tanti sono i riconoscimenti, i premi che le sono stati attribuiti.

Anche ne Il marchio dice di una situazione particolare vissuta, questa volta, da due ragazze, entrambe “zingare”, entrambe vittime di quel programma di risanamento umano e sociale che la Svizzera aveva perseguito nel secolo scorso e che si collegava con l’altro voluto dal nazismo tedesco, lo continuava.

Le due ragazze, Anna e Franziska, una infermiera, l’altra ricoverata in un centro svizzero di cure termali, scoprono di aver vissuto quella terribile esperienza. S’incontrano, si ritrovano, si sentono vicine, s’innamorano, si amano, vengono scoperte, punite ché estremamente rigoroso è il posto che le tiene. Niente, però, riesce a cambiare, a interrompere quel che si è creato tra loro e fino alla fine il romanzo mostrerà che la loro storia non è stata guastata da nessuna contrarietà.

Attraverso il loro rapporto, i loro discorsi, le loro confidenze la Mehr farà scorrere tutto quanto stava dietro, tutto quanto era successo in Svizzera in nome del programma di eugenetica. Farà trapelare la sua denuncia, la sua condanna, farà delle due ragazze i simboli di un dramma che era stato di un’umanità intera, che era diventato istituzione, norma, regola mentresi trattavadi violenza, di orrore. Ancora adesso non si sa molto, ha dichiarato spesso la Mehr, di quel fenomeno e questo la spinge a non fermarsi mai nella sua azione di accusa.

Antonio Stanca