di Antonio Stanca –

Era nato a Civitavecchia il 6 Aprile 1924, è morto a Roma il 14 Luglio 2022. Aveva novantotto anni, si chiamava Eugenio Scalfari, era stato giornalista, tra i maggiori del secolo scorso, saggista, scrittore, politico. Tra Roma e San Remo, dove il padre si era trasferito per motivi di lavoro, aveva compiuto gli studi superiori. Durante il periodo universitario, studente di giurisprudenza, aveva collaborato con giornali e riviste di tendenza fascista. Erano gli anni ’40 e quell’esperienza sarebbe ben presto finita a causa di incomprensioni e veri e propri scontri con i direttori di quella stampa. Dopo la seconda guerra mondiale si era avvicinato alla politica, prima al Partito liberale, poi al Partito radicale. Aveva collaborato con giornali quali Il Mondo e L’Europeo. Nel 1955, insieme ad altri intellettuali, aveva fondato L’Espresso, un settimanale di politica, economia, cultura, attualità. Scalfari curava l’amministrazione e scriveva di economia.  Immediato sarà il successo del giornale ma molte saranno pure le polemiche alle quali Scalfari si esporrà. Lo si vedrà combattere, sulle pagine de L’Espresso, contro soprusi, malefatte, intrighi. Rischierà di finire in carcere per difendere quelle che considerava le regole, le verità in casi che erano diventati veri e propri problemi. 

Dal 1968 al 1972 sarà Deputato per conto del Partito Socialista e molti incarichi gli saranno affidati.

Nel 1976, insieme a collaboratori, fonda il quotidiano la Repubblica che come L’Espresso ha una rapida diffusione. Ne sarà il direttore fino al 1996, quando si dimetterà pur continuando a svolgere il lavoro di editorialista. Anche con L’Espresso continuerà: ogni quindici giorni sull’ultima pagina si alternerà con “Le Bustine di Minerva” di Umberto Eco. La sua rubrica si chiamerà Il vetro soffiato. Lascerà poi gradatamente questi impegni compresi altri in televisione. L’ultima volta comparirà su La Repubblica in un intervento circa il conflitto russo-ucraino. Era il 6 Marzo 2022, tre mesi prima che morisse.

Interminabile, instancabile era stata la sua attività di giornalista e non solo. Anche saggi, romanzi aveva scritto. Aveva tanto viaggiato, tanto visto, tanto ascoltato, tanto pensato. Molti riconoscimenti aveva ottenuto in Italia e all’estero. Non si era mai fermato, c’erano in lui dei bisogni, delle urgenze che chiedevano di essere esaudite. Provenivano da lontano, da quella famiglia di origine calabrese dove era nato e cresciuto e dove sacri erano stati i principi, i valori della verità, della giustizia, della solidarietà. Aveva avuto una formazione altamente umanistica, l’aveva assimilata al punto da non sapersi separare. Sarà l’elemento, l’aspetto morale, sarà il richiamo ad un senso di misura, di equilibrio, sempre possibile da rintracciare nella sua attività, fosse politica, sociale, giornalistica, saggistica, narrativa, fosse di uomo o di intellettuale. In ogni occasione, su ogni argomento, in ogni parte della sua opera si potrà scoprire la sua vita, in ogni pensiero la sua storia. Dalla vita, dalla storia di figlio, di ragazzo di buona famiglia egli partirà per dire di altro, di tanto altro, della vita, della storia degli altri, del mondo, dell’umanità.

Un ennesimo esempio di come la sua sia diventata la voce di un’epoca può essere considerato Il vetro soffiato di Eugenio Scalfari, un breve volume comparso recentemente in allegato a L’Espresso e composto da alcuni dei suoi precedenti interventi. Vanno dal 1998 agli anni più vicini e com’era sua maniera si riferiscono a problemi di politica, di economia, a questioni morali, sociali, filosofiche, alla storia più antica, all’attualità più recente, al futuro. C’è di tutto in questi brevi saggi e apprezzabile è la scelta compiuta perché permette di sapere, conoscere, giudicare certi fenomeni con maggiore chiarezza.  Scoraggiato, deluso si mostra, però, l’autore di fronte a quanto nel mondo sta succedendo a livello individuale e sociale, nazionale e internazionale: la crisi delle istituzioni fondamentali, della comunicazione, dell’istruzione, della formazione, dei modi di pensare, di fare, di vivere, il malcostume, la corruzione, l’ambizione, la competizione, la violenza, il terrorismo, la guerra, sono allignati in maniera così decisa, così convinta da non lasciar intravedere vie d’uscita. A differenza di altre volte questa volta la decadenza è diventata tanto grave da sembrare senza soluzione. Anche quelle che erano sempre state le convinzioni di Scalfari, la sua fiducia, la sua speranza, anche quella giusta misura da lui sempre auspicata risulta ora soltanto sua e di pochi altri. Incapace si scopre di sostenere il confronto con uno stato di rovina così ampiamente diffuso. Gravi sono le conclusioni alle quali giunge in molti di questi interventi. Lui, Scalfari, che sempre aveva saputo chiarirsi le cause, i modi, gli sviluppi di un problema, che sempre aveva indicato come risolverlo, stavolta si dichiara superato, sovrastato da esso. E ancora più grave diventa la situazione se si pensa che insieme a lui ad arrendersi c’è tutta la cultura, storica, geografica, letteraria, filosofica, scientifica, tutta l’esperienza, morale, sociale, politica, economica, che lui rappresenta. Con Scalfari non finisce un’epoca, finisce una civiltà!

Antonio Stanca