Un paese normale di famiglie diverse…
di Paolo Vincenti
Quando un Governo chiama il Parlamento ad esprimersi sulle questioni bioetiche, come accade in questi giorni con il sofferto dibattito sulle unioni civili e i matrimoni gay, allora i deputati e senatori della Repubblica devono gioco forza uscire dall’indolenza nella quale sono immersi, da quella paralisi che li atrofizza nell’anima e nel corpo con la sola esclusione del dito col quale pigiano il bottoncino per votare. Il Governo attuale, in caduta di consensi, cerca di lisciare il pelo al popolo bue ammannendogli delle riforme importanti, addirittura epocali. A questo punto, i catatonici onorevoli, che a inizio mandato hanno consegnato la loro coscienza ai capi del partito che li hanno fatti eleggere, i quali a loro volta l’hanno consegnata ai capi delle lobbies che li finanziano, gli ignoranti rappresentanti del popolo, dicevo, almeno quei pochi che durante il dibattito siedono sui banchi dell’emiciclo, sono costretti a riporre il giornale, a spegnere l’i-pad su cui stavano giocando a candy crush e ad interpellare le loro coscienze. E si ricordano di averle chiuse a chiave in una cassettina di sicurezza come i ragazzi a scuola (non in tutte, solo in quelle più serie) fanno con i loro telefonini la mattina all’inizio delle lezioni. Allora, i nostri fancazzisti parlamentari chiamano a raccolta le ultime residue energie del loro cervello in stand bye per cercare di riattivarlo. Ma la loro chiamata cade spesso nel vuoto, il loro grido si perde nel buio di una fredda spelonca. Dunque che cosa fanno? Come affrontano delle delicatissime questioni etiche, filosofiche, teologiche, morali, spauriti di fronte al vuoto pneumatico?
Il Governo ed anche i partiti lasciano nelle questioni etiche “libertà di coscienza”. È stato così con il divorzio, con l’aborto, con la morte assistita, e con tutte le altre questioni di impegno civile. Ma, mi chiedo, come si può lasciare libertà di voto a chi ha la coscienza ostaggio di padrini e padroni e dei gruppi di potere? Come fa a cercare fra le pieghe del proprio cuore la risposta che soffia nel vento, il faustiano deputato, dopo aver venduto l’anima al Mefistofele di turno? Dunque, l’onorevole infingardo a chi si rivolgerà? Si guarderà dentro, sì, ma dentro la giacca, cioè interpellerà il portafogli e voterà, ancora una volta, come sempre, seguendo il proprio piccolo interesse, il tornaconto personale, economico, elettorale. Meglio sarebbe dunque il voto palese. Il governo in primis con la propria maggioranza, e poi ogni singolo partito con i propri soldatini e con gli iscritti dovrebbero assumersi delle responsabilità e dettare una linea, rabberciare uno straccio di ideologia (uh, che brutta parola in tempi di Job Act!) acconciare una posizione chiara, netta. Non importa se parte dell’elettorato non sarà d’accordo, ma chi è chiamato ad amministrare la cosa pubblica, a guidare una nazione, deve adottare decisioni coraggiose, magari anche controcorrente, perfino spregiudicate, ma nette.
E veniamo alla contraddittoria legge Cirinnà. Un liberale e libertario come me non può certo non applaudire un provvedimento, come quello in esame, che legalizza le unioni tra omosessuali. È giustissimo, in un paese “normale”, per dirla con il compagno D’alema, che due persone che vogliono convivere, condividere gioie e dolori di una vita in comune, siano etero oppure omosessuali, si vedano tutelati i propri diritti.
Ben vengano le unioni civili, equiparate al matrimonio “tradizionale”. Inoltre viene colmato un vuoto normativo, visto che fino ad oggi a decidere, caso per caso, sono stati i giudici con le varie sentenze che hanno costituito dei precedenti, ma la magistratura non può certo sostituirsi al Parlamento che deve legiferare e non può più procrastinare questo appuntamento. I nostri legislatori hanno l’obbligo morale di disciplinare una materia tanto ostica, vischiosa.
Ciò premesso, io non capisco proprio, da parte del popolo gay, questo rincorrere le famiglie cosiddette “tradizionali” sul loro stesso terreno. Dice, all’estero, in alcuni paesi, le coppie omosessuali si sposano come quelle eterosessuali. Beh, se un certo numero di coppie omosessuali anche in Italia vuole profondersi in una pagliacciata del genere, non sarò certo io ad impedirglielo. Del resto, fior di vice sindaci delle nostre città non aspettano altro che indossare la fascia tricolore e decretare, solenni e gongolanti, con l’espressione più curiale che possono, “vi dichiaro marito e marito”, oppure “moglie e moglie”, tra le lacrime dei parenti degli sposi, i gorgheggi dei castrati e le ovazioni dei compagnucci dell’arcigayetta. E inoltre ristoranti e catering devono lavorare. Se i gay non vedono l’ora di imbolsirsi fra cene domenicali e visite parenti, di impantanarsi nella noia e nell’ipocrisia più borghesi della famiglia tradizionale, cioè nel luogo dei non detti e dei tradimenti, delle ripicche e delle vendette incrociate, dove si consumano i più efferati delitti, perché non permetterglielo? Magari accarezzano il sogno della famiglia del Mulino Bianco.
Stesso discorso per quella parte della legge della stepchild adoption, che prevede l’adottabilità del figlio che uno dei due coniugi gay ha avuto da una precedente relazione. Purché non passi la pratica nefasta dell’utero in affitto, nel malaugurato caso in cui si dovesse giungere all’adozione di minori che non abbiano un legame biologico con nessuno dei due adottanti. Eh no, ricorrere ad una madre o un padre surrogati! Dice, in alcuni paesi extra europei questa pratica è consentita. Ma a me non piacerebbe che lo fosse in Italia. Questa non sarebbe normalizzazione del paese, sarebbe piccineria, meschinità.
Ma perché tante coppie sono ossessionate dall’idea di procreare? È una cosa bellissima, ma se la natura non te lo consente, perché insisti? Penso al turismo riproduttivo di tante coppie che si recano all’estero, soprattutto in Spagna, dove la fecondazione eterologa è permessa. E non solo coppie, ma anche singles ai quali è preclusa la possibilità di generare, che vogliono prevaricare la natura, sottometterla ai loro voleri. Ma come si fa a prendere un padre o una madre surrogati per generare un marmocchio? E in fondo, che cos’è voler fare un figlio? Un atto di grande egoismo, la vanagloria di rivedersi in un nuovo essere, la speranza illusoria di continuare a vivere in un altro da sé, il fanatismo di perpetrare la propria genia; dopo, nel migliore e più auspicabile dei casi, diventa amore, la più bella e più pura forma di amore. Ma prima no. Non si può amare qualcuno che non c’è, che ancora non esiste; si può amare un’idea, ci si può affezionare ad un progetto e ci vuole anche una buona dose di incoscienza per realizzarlo, perché obbiettivamente ha dell’insano oggi voler mettere al mondo, in questo mondo, un figlio. Così per le coppie eterosessuali, come per quelle omosessuali, con l’aggravante, per queste ultime, di incoraggiare pratiche aberranti come quella sopra detta: la più raffinata e colpevole, lucida e incontrollata volontà di potenza, la smania di dominare il mondo. Non è giusto tutelare per legge certi velleitari diritti. Se i figli non sono naturali, non può il Parlamento normare la follia umana, regolamentare l’egoismo, disciplinare la sete di potere di nani che si credono giganti, l’assolutismo del “tutto è possibile”, il fast and furious del “qui ed ora”.
La gran parte della comunità gay e lesbo italiana è composta da gente seria ma questa maggioranza silenziosa viene messa in ombra da una minoranza chiassosa e caciarona che rivendica diritti pretenziosi, che pone la propria presunta voglia di maternità o paternità al di sopra dell’interesse dei nascituri; ma se patite la solitudine, prendetevi un cane! Sono convinto che la stragrande maggioranza dei gay e delle lesbiche non coltivino questa frenesia di essere a tutti i costi genitori. Essi, pacificati con la vita, in armonia con il proprio orientamento sessuale, vivono bene la propria condizione e la accettano, non se ne fanno un problema. Tutti gli altri continuino a saltare mascherati sui carri del gay pride, anzi vadano a scaricare la propria tempesta ormonale ballando la samba al Carnevale di Rio (che inizia fra poco). Così avranno sfogato i terrestri ardori e al ritorno non romperanno più le balle alla suggestionabile classe politica.
La vedo male per il Parlamento. Speriamo che con il buon senso (ahi!) e la collaborazione di tutti (doppio ahi!), possa uscire un buon testo di legge (triplo ahi!).
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