Noi e la vita degli “altri”
di Marcello Buttazzo –
La vita errante, fuggiasca, vissuta ai margini. La vita dolente, di corse e rincorse, di privazioni, di sacrifici, di indigenza. Vita in fuga da conflitti etnici e religiosi, da guerre cruente, ferine, assassine. Vita che corre, che scorre, percuote il tamburo, scandisce il tempo, misura gli spazi e gli istanti d’una sofferta quotidianità. Vita naufraga, con un pugno di mosche fra le mani, coi ginocchi piagati, in balia delle fragorose onde e di aguzzini criminali, spesa su fatiscenti carrette e imbarcazioni di fortuna, sovente finita tragicamente in un inclemente utero di mare, che grida il suo tormento, il suo intimo sgomento, laddove trovano misericordia e triste e ultimo rifugio tanti disperati delle acque e delle terre. Migranti di questo tempo turbolento, contraddittorio, lacerato, che piange lacrime di sangue. Tanta gente alla deriva giunge in Europa, sulle nostre coste, non in cerca di giacimenti di calie preziose o d’un favoloso Eldorado, ma solo di condizioni essenziali per una esistenza appena appena decente. Chi ambisce, fra i politici del vecchio continente, a edificare steccati ideologici, mentali, e muri di ferro spinato, è drammaticamente fuori strada, appalesa tutta la sua pochezza intellettuale e umana. Le migrazioni rappresentano, ormai, una questione di rilevanza capitale, che deve essere affrontata in modo pacifico, razionale, con il pensiero aperto, sgombro da complicanze demagogiche, biecamente populistiche. L’Europa delle banche e della finanza soverchiante e padrona è, da sempre, tragicamente latitante sulle grandi questioni popolazionisitiche: non è stata, in questi anni caldi, in grado di confezionare una accettabile e necessaria piattaforma comune fra i vari Stati dell’Unione, incapace di predefinire programmatici interventi nei Paesi poveri a Sud del mondo e di conflitto. Noi occidentali, con la nostra smodata, abnorme, bulimica fame di potere, siamo stati sempre avvezzi a “esportare democrazia” sotto forma di guerre cosiddette umanitarie, con bombe devastanti più o meno intelligenti. Noi occidentali abbiamo saputo solo sventagliare i nostri sanguinosi conflitti di dominio, portare la nostra povera cultura colonialistica, di spoliazione. L’Italia (che è senz’altro terra di solidarietà e di accoglienza, che reca nel sangue e nel connettivo delle ossa le scaturigini del travaglio e quindi sa riconoscere l’altro da sé), in questi anni, non sempre è stata all’altezza della situazione. Soprattutto nel periodo del governo di centrodestra di Berlusconi e della Lega celodurista, con l’improvvida politica dei respingimenti in mare e con l’anticristiano e insensato e improduttivo “reato di immigrazione clandestina”, il Belpaese ha scavato un solco. L’attuale governo Renzi, con “Mare Nostrum”, s’è adoperato più proficuamente. Certo, è giusto che su pregnanti problemi di precipua importanza esistano fra centrodestra e centrosinistra elementi di conflittualità: dallo scontro dialettico, può nascere una società più a misura d’uomo. Epperò, sarebbe auspicabile che, su rilevanti tematiche di portata universale, gli schieramenti possano anche incontrarsi parzialmente, dialogare fittamente, con spirito bipartisan. Prossimamente, il governo e il Parlamento italiano dovranno esaminare, tra l’altro, le proposte di legge a favore della cittadinanza, lo “ius soli” da garantire ai figli dei migranti nati da noi e la possibilità del voto agli immigrati. Il centrosinistra storicamente è sensibile agli argomenti sulle nuove cittadinanze e sulle appartenenze, aperto alla moderna società multietnica e multiculturale; parimenti, esiste da noi un centrodestra cristiano, laico e liberale, attento ai vari accadimenti, proiettato verso il futuro. L’abusato e fastidioso ritornello leghista (“Tornino a casa, non c’è lavoro”) è solo uno stonatissimo refrain. Qualche razzista e xenofobo del Nord, per motivi di piccolo e misero cabotaggio, propaganda la cultura del differenzialismo spinto allo stremo, che non può avere molto credito. L’istanza antropologica non dovrebbe conoscere steccati: si dovrebbe decidere, possibilmente, collegialmente, nella consapevolezza che i migranti sono una ricca risorsa umana, economica, civile. Giorni fa, ho letto, su Spagine, con immenso piacere il morbido e analitico articolo di Gianluca Conte sulla gente che viene da fuori. La sua visione da poeta militante aiuta, senz’altro, a vagheggiare una società migliore.
Marcello Buttazzo
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