di Marcello Buttazzo –

Il governo Renzi e i vari politici italiani non discutono né di testamento biologico, né di eutanasia; eppure, in Parlamento, giacciono inesplorate apprezzabili proposte di legge (anche di origine popolare). Nel 2013, ci fu una massiccia mobilitazione popolare, incoraggiata dai Radicali, per la presentazione d’una proposta di legge sul “fine vita”. Di recente, in seguito soprattutto alla sollecitazione dell’Associazione Luca Coscioni, il Parlamento, per marzo 2016, aveva previsto la calendarizzazione della discussione sul testamento biologico e sull’eutanasia. Ma è stato, purtroppo, un vano adoperarsi. Tutto è rimasto lettera morta. L’Italia è un Paese strano: da noi non solo si ha paura di legalizzare l’eutanasia e di normare le dichiarazioni anticipate di testamento, ma si prova anche “fastidio” a sentire avanzare certe istanze, a sentir parlare di “fine vita”. Molto saggiamente, Mina Welby, da tempo, sostiene che “sulla malattia, il dolore e la morte, tutti dovremmo cercare quello che unisce, non quello che divide”. Sospendere le cure mediche, in certuni casi, ad un familiare, dopo infinite tribolazioni, è una scelta sofferta, una scelta d’amore. Sono passati diversi anni dalla dipartita di Piergiorgio Welby, e la politica dominante tace fragorosamente su questa dirimente tematica. Certo, il “fine vita” è un terreno fragile, che inevitabilmente frammenta.
Ci chiediamo: il diritto o lo Stato possono permettere la legalizzazione della “dolce morte”? È vero, l’eutanasia è fisiologicamente un campo minato, controverso: alla base d’ogni cultura, d’ogni antropologia di riferimento, ci sono acquisizioni di fatto. Ci chiediamo: la vita è sempre sacra, inviolabile, intangibile? Oppure essa, in certuni casi, può diventare anche disponibile? Sono quesiti profondi, laceranti. Forse, è ingiusto, illegittimo, pensare che tutti gli italiani possano aderire tutti ad una stessa e irreversibile morale. Fra l’etica tradizionale e la morale laica, si staglia limpida e flessibile un’etica della cittadinanza, che contempera le concezioni multipolari della gente. Il “fine vita” è, ovviamente, una terra perigliosa: lo Stato dovrebbe sempre entrare nella vita dei cittadini in punta di piedi, con pronunciamenti morbidi, lineari, rispettosi del pluralismo etico.  E, soprattutto, dopo l’estate, i parlamentari dovrebbero saper intervenire in modo veramente liberale quantomeno sul testamento biologico, investendo massicciamente sulle cure palliative. All’indomani dell’entrata in vigore della normativa dimezzata (perché esclude l’adozione del figlio del partner) sulle unioni di fatto omosessuali, il premier Renzi e vari esponenti del Pd si vantarono, affermando di saper mantenere le promesse e asserirono con il consueto piglio baldanzoso: “Questo è il governo dei diritti civili”. Evidentemente, sull’acquisizione dei “nuovi diritti”, il riformista in camicia bianca Renzi e i suoi sodali devono impegnarsi davvero maggiormente non solo in altisonanti proclami, ma in atti compiuti.

Marcello Buttazzo