La memoria corta
di Gianluca Conte –
Dalle bislunghe altane di frontiera cadono a picco i corpi dei nuovi màrtiri, mentre lauti pasti congestionano la patria, regalando gioie convulse ai governanti e a chi, tra bandiere spaiate, urla inni idioti e frasi sconnesse a sfondo razzista e xenofobo. Il Mare nostrum è divenuto un’ecatombe dove centinaia, migliaia di profughi trovano continuamente la morte al posto di un’agognata salvezza. Chi lascia la propria terra per cercare fortuna lontano, il più delle volte, non ha altra scelta. Noi occidentali non lo capiamo o, più semplicemente, non vogliamo capirlo. D’altronde, il popolo italiano, che storicamente si è lasciato soggiogare da pagliacci che proponevano Panem et circenses o da qualche dux con la nostalgia dell’impero romano, sembra avere la memoria corta. Emigranti di vecchia data, gli italioti hanno dimenticato non solo le valigie di cartone, le file interminabili per imbarcarsi verso nuovi lidi (con la speranza di una vita migliore), il trattamento ricevuto nei paesi d’adozione (tutto sommato buono, salvo becere eccezioni), ma anche le cattiverie perpetrate dal Bel Paese ai danni di popoli che se ne stavano in pace a casa loro, vedi Etiopia, Somalia, Eritrea, Libia, Grecia, Albania (eh sì, gli “italiani brava gente” ne hanno fatto di male in giro!). La logica del capro espiatorio completa questo quadro tutt’altro che rassicurante. Quando le cose non vanno bene, quando c’è crisi, disoccupazione e povertà, le società deboli (leggi democrazie deboli o democrazie di facciata) tendono all’imbarbarimento, al regresso civile.Nasce così la caccia alle streghe, a qualcuno cui addossare le colpe del difficile frangente che si sta vivendo. Il lessico si impoverisce, e con esso la percezione dell’altro. La paura del diverso, dello straniero, ritorna, prepotente. È più facile e più comodo additare lo straniero, il diverso, colui il quale viene sul nostro suolo natio ad usurparci il lavoro e a commettere ogni sorta efferatezza. L’idea virulenta che i primi a fare le spese di una situazione difficile debbano essere i “venuti da fuori” attecchisce con estrema facilità, soprattutto se condivisa e urlata da alcune forze politiche indegne di questo nome. A tal proposito, vi è la retorica e l’antiretorica. La prima, gonfia di paroloni, edifica lusinghe pro o contro le differenze, la seconda, ad uso degli smaliziati, non ammette altre possibilità se non un nichilismo vuoto, sbiancato con la varechina del “non cambia mai niente”. Lontanissimi da una soluzione condivisa, possiamo però tenere per mano il filo del nostro passato (che tanto passato non è). Le paroledi Stanisław Jerzy Lec: «La scarsa memoria delle generazioni consolida le leggende», oggi appaiono profetiche. Riusciremo a non dimenticare?
Gianluca Conte
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