Il “fiato corto” della Terra
di Marcello Buttazzo
A Parigi, si sono riuniti, nella Conferenza Onu sui cambiamenti climatici, i Capi di Stato e di governo per tentare di portare sollievo ad una terra afflitta, stanca, avvelenata. L’obiettivo dei leaders mondiali è quello di contenere il surriscaldamento globale, che è una minaccia ormai effettiva per gli ecosistemi. É ovvio che nessuno di noi, in un’era altamente postindustriale, possa ambire ad una Natura vergine e incontaminata. Purtuttavia, è necessario pianificare politiche ambientali sostenibili ed adeguate. In tal senso, noi cittadini del mondo accogliamo con una moderata speranza l’iniziativa del presidente Obama, che ha lanciato una coalizione sul clima composta da 20 Paesi ( fra i quali l’Italia), che s’impegneranno a raddoppiare gli investimenti nella tecnologia verde. L’equilibrio chimico- fisico del nostro pianeta è perturbabile, fragile, estremamente complesso. L’aumento dell’effetto serra può produrre un innalzamento della temperatura media e far salire quindi il livello dei mari. Da tempo, si sarebbe dovuta recepire una ineludibile lezione ecologica: l’era dei combustibili fossili è ormai a termine. Per di più il petrolio, i gas, gli altri idrocarburi, hanno già inquinato ampiamente: eppure continuano pervicacemente a muovere gli interessi, ad alterare gli assestamenti geopolitici. La terra, purtroppo, è ansimante, ha il fiato corto, il passo malfermo. Scommettere sulle fonti rinnovabili e pulite avrebbe dovuto essere il primario scopo etico ed economico dei Grandi. Ad esempio, ci si chiede come mai ci sia tanta ritrosia ad aprirsi all’utilizzo su ampia scala dell’idrogeno, che è una sorgente pulitissima, un combustibile perenne, perpetuo. Eppure, intellettuali di rango, come Rifkin, da anni e anni, prospettano l’avvento d’una economia ad idrogeno, come una autentica rivoluzione liberale. Fino ad oggi, i periodici summit dei potenti non sono serviti a decongestionare un pianeta sconfitto e fuori dai gangheri. Negli importanti vertici, da Kyoto in poi, sono stati sempre sottoscritti protocolli formali non vincolanti, di fatto senza alcun valore pregnante e significativo. Col risultato sconcertante che i Paesi più ricchi e più inquinanti ( America e Cina in testa) hanno continuano a sporcare la terra con più ostinazione. Non è prevalsa mai, in questi anni, una superiore etica della responsabilità, il rispetto per un ambiente malato, la tutela dei Paesi più a Sud del mondo, sempre più depredati e penalizzati dalle diseguali politiche economiche mondiali. La crisi ecologia è, per l’innanzi, uno smarrimento antropologico di chi non riesce a inquadrare economia, politica, lotta contro la povertà, dignità umana, in un unico paradigma. Il Santo Padre, nel suo recente viaggio in Africa, ha chiesto ai Grandi “un accordo sul clima”. Sarebbe auspicabile seguire il monito di Papa Francesco: “L’economia e la politica si mettessero al servizio dei popoli”.
Marcello Buttazzo
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