di Viviana Indraccolo

Questa è una storia che nasce nella mia infanzia quando, andando a trovare i nonni, rimanevo estasiata a guardare tutti i libri che vestivano la stanza di mio zio. Crescendo presi la cattiva/buona abitudine di prenderne qualcuno in prestito o meglio di rubarli dato che lo facevo senza il suo consenso. Un giorno mi capitò tra le mani un libro blu, senza copertina, dal misterioso titolo, “CELLULOIDE”, scritto ad un me sconosciuto Ugo Pirro e pubblicato da Rizzoli nel 1983; da quel libro Carlo Lizzani trasse l’omonimo film nel 1996.

Presa dalla curiosità decisi di appropriarmene. Così un nuovo mondo mi si aprì, quello del cinema.

Prima di tutto scoprii che la celluloide era il materiale di cui è fatta la pellicola cinematografica; poi, nel bellissimo racconto di Pirro, la radicale trasformazione che interessò il cinema italiano alla fine della seconda guerra mondiale con la nascita del Neorealismo.

Nel periodo in cui Roma era “città aperta” la bicicletta era stata bandita dai nazisti, a quel misero veicolo, sgusciante e silenzioso, gli occupanti attribuivano gli attentati, i movimenti dei porta-ordini e la distribuzione dei giornali clandestini. Nel dopoguerra la bicicletta diventò un bene prezioso, uno strumento di lavoro, un mezzo di comunicazione indispensabile in una città dove scarseggiavano mezzi di trasporto. Un insieme di “storie” senza le quali Zavattini e De Sica non avrebbero mai pensato di scrivere e realizzare il loro “Ladri di biciclette”.

I nazisti rastrellavano strade e palazzi portando via uomini e donne, militanti e non, fatti che certo suggerirono allo sceneggiatore Amidei e al regista Rossellini la scena in cui la sora Pina (Anna Magnani) nel film “Roma Città Aperta” insegue il camion tedesco che porta via il padre del bambino che ha nel ventre finendo fucilata sul selciato vicino casa. Anche qui la vita serve l’arte…

Negli ultimi anni della dittatura neanche gli sceneggiatori più lungimiranti immaginavano che i copioni dei film futuri avrebbero avuto come storie l’esperienze vissute da loro in prima persona in quanto osservatori privilegiati delle realtà e dal popolo. Le vicende che si narravano prima della Liberazione, erano quelle dei film detti dei “telefoni bianchi” chiamati così perchè parlavano di storie di fantasia in un mondo dove i telefoni erano neri anche nelle case più signorili.

I partigiani, i perseguitati politici e la gente comune sarebbero diventati i protagonisti di un cinema nuovo, profondamente diverso che nasce osservando la vita.

Fu così che dopo la Liberazione, con i set allestiti per strada o in magazzini fatiscenti nascono i film del Neorealismo, guardati all’inizio da spettatori forse allibiti dal riconoscersi, gelidamente critici… Via via il tempo ha dato ragione a quella scelta stilistica e contenutistica. Un movimento che ha donato valori al cinema contemporaneo, quel cinema che, a mio parere, dovrebbe oggi tornare a guardare indietro per ripercorrere le strade che i vecchi registi, sicuramente più innovativi di quelli di oggi, hanno percorso.

Viviana Indraccolo

*Il libro: Ugo Pirro, Celluloide, Rizzoli, Milano 1983; Einaudi, Torino 1995