Leggere dentro. A questo serve il teatro.
di Mauro Marino
Mercoledì 29 aprile, siamo a teatro nella grande sala della Casa Circondariale di Borgo San Nicola: uno dei migliori teatri della città, anzi l’unico in cui in scena va la “necessità”, il “desiderio”, l’essenza che fa la scena viva, pulsante, utile.
Già, il teatro deve essere utile! Lo è stato alle sue origini luogo di catarsi e di critica e via via lo è stato nel corso della sua lunga storia politico, pedagogico, socile…
Troppi i processi che inaugura con il suo divenire per deludere con scioccherie e scimmiottamenti… la scrittura, la sensibilità drammaturgica, quella registica, quella dei formatori, quella degli attori e poi lo scambio con il pubblico… Quanti sguardi si incrociano, quanta energia.
Nel teatro di Borgo San Nicola ci siamo per il secondo appuntamento di “Leggere dentro” esperienza condotta da Vittorio Gaeta con un gruppo di donne dell’Alta Sicurezza e con la collaborazione degli attori di Koreja Carlo Durante, Anna Chiara Ingrosso, Emanuela Pisicchio. La drammatizzazione ha riguardato il “Fu Mattia Pascal” di Luigi Pirandello. Un testo del 1904, primo grande successo letterario di Pirandello, scritto in un momento difficile della sua vita. “Un enorme flashback” il romanzo, l’occasione per riflettere sull’identità – nel nostro caso – su quella delle donne e delle donne detenute. Una scena scarna, alcuni sgabelli, sul fondo una toiletta aggiustata con uno specchio, un piano con degli smalti e degli stik di rossetto.
L’apertura è data a Pamela-Vanessa-Mattia Pascal. Le identità rimbalzano, mutano come fa la voce che passa dal recitato alla lettura. Dopo il prologo, il suono di un carillon apre la scena che si fa corale. Vengono altre, con abiti leggeri, color pastello a piedi nudi, una con un abito da sposa… Si raccontano. L’ordine mutevole degli sgabelli fa da palcoscenico e passerella. Storie di mogli, di madri, di nonne… Numeri, che hanno storie, una vita e dentro quella vita chissa quante vite… Vanessa, Loredana, Emanuela, Tina, Giusy e Anna le protagoniste.
«Le cose della prigione son sempre quelle: il blindo, il cancello, il tavolino e sul tavolino due mele e tre arance, il cestino, le stoviglie… Giallo e arancione. Sbarre, finestre con sbarre. Giù cose cadute che nessuno recupera in su un centimetro di cielo… è come quello della mia campagna lo stesso cielo e il melo e i fiori nel campo. Anche quelli gialli e arancioni. Ecco i colori nella stanza sono quelli della mia campagna…», parole dove è custodito il desiderio.
«Quando uscirò vorrò un cappuccino, farò festa, sarà un momento indescrivibile, andrò dalla parrucchiera… Ciò che è stato lo butterò nella spazzatura. Sulla domandina scriverò, “Io sottoscritta… chiedo alla S.V. di poter essere felice”».
Ecco, a questo serve la lettura, il teatro. A “leggere dentro”. A sollecitare il “segreto”, ciò che rimane nascosto è svegliato dalle emozioni e quelle fanno da ponte, muovono alla libertà del sentire, dello stare nell’incontro, vivi, presenti, attenti, disponibili al cambiamento. Alla speranza!
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