Hamelin, w la libertà
di Mauro Marino –
Scegli d’andare a teatro e non sai cosa t’aspetta. Certo, conosci il canone poetico e narrativo della Compagnia che hai scelto, la cifra registica che sinora ha governato e indirizzato le produzioni, ma speri sempre d’esser sorpreso: il buio in sala è salvifico apre alla visione, quello cerchi, nell’aldilà del sipario. Il teatro con il suo qui e ora celebra sempre l’unicità del momento: la tua presenza al cospetto della scena, il corpo dell’attore è ciò che tesse la relazione rendendola memorabile. Non sempre accade, ma…
Lo scrigno degli Agostiniani è la premessa, accoglie la chiusura (domenica 29 maggio ̓22) della Edizione Straordinaria di “Kids. Festival del teatro e delle arti per le nuove generazioni” – progetto di Factory Compagnia Transadriatica e Principio Attivo Teatro – significativamente titolata “Ricostruire” per vincere la sfida delle limitazioni poste in essere dalla pandemia, per «ricostruire un rito interrotto, riabitare gli spazi scenici, riedificare i nostri luoghi dell’anima, ritrovare il tempo del gioco assieme, il tempo dell’incontro, il tempo del teatro che può farci crescere meglio».
I luoghi non sono mai da attraversare con indifferenza e la fabbrica degli Agostiniani, con i suoi strati di memoria, sollecita l’attenzione. Varcato il cancello il tempo inizia a decantare la sua portata, il giardino selvaggio e scapigliato, il sapore delle albicocche mature, il chiostro, lo sprofondo del pozzo al centro, i varchi ai lati, tutto chiama all’esplorazione.
È come dare il via ad un reset, premi il tasto e via. Lo hai scelto, un po’ d’ansia, ma poi, pian piano, tutto torna a posto, trovi lucidità nell’impensato, in fila, in attesa d’entrare.
Chi sono quei bambini che invadono il cortile presi da un’euforia saltellante, arrampicante, liberi, liberati. Ogni richiamo è inutile, sfuggono, volano come le rondini che segnano il cielo dell’imbrunire, in loro, la stessa inconsolabile necessità di spazio.
Entriamo, una piccola porta si apre. C’è un “filtro” all’accoglienza… gli adulti son diversi dai “kids”, ad ognuno è destinato un diverso ascolto e le orecchie, capisci subito, che saranno importanti in ciò che t’aspetta. Spesso passive assorbono il comando, così come quando la televisione s’accende sulle pruderie di casi irrisolti, di gialli in cerca di soluzione, ogni suggestione è possibile e, la verità diventa una variabile da cui prescindere.
Finalmente il buio, la fiaba è fiaba lievita oltre il contingente, oltre le parole, non servono, adesso, ciò che appare convoca solo gli occhi.
Siamo ad Hamelin – ma anche a Wuhan o a Bergamo… o nelle tante città costrette al confinamento – dilaga la peste, il borgo è invaso dai topi untori. Una voce annuncia “il divieto di suonare, ballare e cantare nelle strade; il divieto per tutti i bambini di giocare fuori dalle proprie case, il divieto di uscire senza validi motivi”. “Grande è il sacrificio che dobbiamo sopportare”, – aggiunge la voce – “fino a quando arriverà qualcuno a liberarci da questo morbo, da questo male. Allora tutta la città non finirà mai di ricompensarlo. Siamo certi, che tutti uniti, ce la faremo”.
Lento il fumo sale dal fondo della scena e capisci che, per affrontare il mistero, alleato necessario è il teatro, quel “perdere” il senso del Tempo: “Il carro è pronto, ma è ancora spento Serve stupore, un po’ di alchimia, chiudiamo gli occhi per un momento. Prepariamoci dunque a questa magia”, è il pifferaio che s’annuncia, lento arriva, un attore girovago: è quello dei topi, dei bambini scomparsi, quello della leggenda popolare che Jacob Ludwig e Wilhelm Karl Grimm mutarono in fiaba, quello che vide la sua generosità d’artista tradita dall’irriconoscenza, dall’avidità, quello che per vendetta… Brutta parola “vendetta” certo non appartiene a chi ha mutato la sua fragilità in forza creativa e questo saltimbanco è anima innocente prestata alla poesia.
Un impianto nello statuto classico del narrare teatrale, una pasta “antica”, quella scelta dalla regia di Tonio De Nitto, consegnata alla magistrale interpretazione di Fabio Tinella, con le diverse declinazioni della voce, le alleanze fisiche con la scena – un teatrino su ruote che pian piano svela tutte le sue nascoste virtù – le marionette, gli artifici digitali e il testo, una sfida alla rima, al bel dire, ma soprattutto una sorprendente sfida pedagogica.
Nella fiaba dei Grimm il pifferaio deluso rapisce i bambini, nell’antica leggenda bavarese troviamo altre declinazioni possibili. Certo è che la promessa della ricompensa per aver liberato la città dalla peste dei topi non viene mantenuta, l’intento “insieme ce la faremo” è tradito e l’artefice dileggiato, offeso cacciato… Capita, capita anche adesso. E allora? Se fossero stati i bambini a stringere un’alleanza con il saltimbanco-pifferaio? Delusi anche loro dal comportamento degli adulti? La fuga è liberatoria, è atto di riscatto, è ricerca della libertà. La fuga è sfida, è ritrovare la propria possibile autonomia. Questo lascia trasparire l’Hamelin della Factory, l’invito finale rivolto ai “grandi” dei kids è esplicito: “Lasciateli cadere, lasciateli macchiare./ Permettete la corsa, lo stupore, lo sbaglio,/ permettete lo spreco, il gioco, il rumore/ la musica, la musica, la musica./ Lasciateli andare per amarli meglio”. In libertà e con libertà, valore “difficile da conquistare, ma molto facile da perdere”. Vale per i kids, vale per i grandi!
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