di Mauro Marino –

Note per “Il Castello dei tranelli, alias dove devo andare”*
opera teatrale per la regia di Aldo Augieri andata in scena
lo scorso venerdì 29 giugno a Corigliano d’Otranto .

Nel continuo regredire del Tempo, la Storia pare scena di continue repliche; l’idea di “progresso” sin qui alimentata è cronicamente malata, guasta sin dal suo principio, nella pretesa d’andare oltre l’uomo. I modelli culturali dominanti minano la Vita e la Convivenza, non siamo mai stati abituati all’idea d’essere Mondo, d’essere dentro una coralità e che la coralità è necessaria per comprendere, ognuno di noi, la propria natura, la propria unicità, la propria bellezza, la propria singolarità.

Prerogativa del teatro è la condivisione, lo stare insieme, l’incontro. Non sempre accade, tanto dell’Arte, s’è perso! Nell’Assedio, ogni giorno, lo constatiamo, testardamente cerchiamo di porre rimedio, di alzare, dove è possibile, barricate; di attivare piccole resistenze creative, fioriture di linguaggio per opporci ai continui tentativi di appiattimento del Senso. Siamo oggi “all’uno contro l’altro”, estranei al valore della complessità: l’uno solo a far “scuola” e il “due” e il “tre”, il “molto” dimenticato: che non sia mai che l’altro, il diverso, che… che… che… . Meglio lasciarlo sulla soglia l’altro, sul bilico dell’esistenza, in attesa, sempre in attesa, nel niente di un destino segnato a priori, senza futuro.

Il Teatro ha per suo statuto l’idea che la qualità della scena dipenda dalla responsabilità e dalla consapevolezza che ognuno, nella relazione con l’altro, matura di se stesso. Il disagio esistenziale (condizione comune oggi a tutto l’Umano) diviene leva di crescita attraverso un’azione che vede la l’atto creativo muovere un energia profondamente sovversiva nel minare lo statuto della Contemporaneità.
Siamo sempre più convinti che l’incontro sia (nel bene e nel male) strumento generativo, seme, sempre, di possibili altre visioni, specie quando l’incontrarsi trova luogo “fuori contesto”. Il teatro, terra buona ne trova sempre. Se non lo è, trova concime, fa tutto il lavoro necessario: prepara, dissoda, prova e riprova, prende tempo, crea tempo, sfiora il cuore per farlo fiorire, liberandolo dall’artificiosità, dalla pervasività della “maniera” che livella, massifica, instupidisce. Ritrovando la “crudeltà”, il teatro regalmente prepara ciò che la consuetudine considera “non guardabile”, alla scena. E l’incontro, somma altro incontro.

Inguardabile è oggi la consuetudine, il tradimento dei corpi, l’oltraggio dell’uomo consumato da parole che ogni giorno distillano fiele e ovvietà. Generare sorpresa, stupore, ferite, riflessione è compito del teatro, declinare il “chi si era” nel “chi si è” una volta conquistata la scena, la libertà del ruolo, della “maschera”, del poter dire.

Le ossessioni (lo sanno tutti) ci governano, ma meglio tacere a proposito, par brutto, parrebbe follia, ci guarderemmo e scopriremmo che il nostro Mondo, la nostra piccola cara Terra, altro non è che un enorme Centro di Salute Mentale.

Le ossessioni peggiori sono quelle personali, quelle apparentemente più semplici. Assediano, ci orientano e ancor peggio condizionano le scelte, minano le relazioni, guastano ogni possibile incontro. Sono pericolose anche le più innocue, specie se poi diventano “potere”, motivo di dominio. Ah! quanti “ossessivi”, mossi alla conquista del Governo, ha visto la Storia.
È il caso di “belli capelli”, la setta religiosa creata dal despota Helmut per governare e tenere in ordine e “pettinato” il suo regno.

Questo il tema de “Il castello dei tranelli” opera teatrale andata in scena lo scorso venerdì 29 giugno, a Corigliano d’Otranto nell’intrico delle stanze del palazzo De Monti, complice esso stesso di una straordinaria messa in scena itinerante. Un castello vero per una storia immaginata dal regista attore Aldo Augieri scritta con gli attori che l’hanno interpretata. Una grande metafora della condizione umana ben sottolineata dall’inquietante alias del sottotitolo che recita: “dove devo andare”, senza esclamativo e senza interrogativo. Un opera corale, tremendamente reale, una drammaturgia nata ascoltando e tessendo storie. Un opera di “non attori” che si son fatti attori nell’esercizio della scena, fondando il contatto con se stessi, scoprendosi. Uno scavo dove la maschera (il ruolo, il personaggio) smaschera, mette a nudo, muove e indirizza l’emotività d’ognuno, la piccola verità custodita nella ritrovata espressività. E che qualità questi attori, quanta bravura svegliata, quanta sapienza spesa sul crinale della più pura e tragica commedia clownesca.
Eccoli, in ordine di apparizione: Tommaso D’Amico, il pescatore; Patrizia Fiorentino, la moglie del pescatore; Gabriele Perrucci, re Helmut; Stefania Carrone la regina Ginevra; Cesare Liaci, il cognato del re; Simona Sansonetti, la parrucchiera; Daniela Varola, la massaggiatrice; Paola Torsello, la psichiatra; Silvia Bressan, lo spettro; Giuseppe Vergori, lo chef Manticora; Stefano Ria, Milka il figlio bastardo del re; Viviana Indraccolo, la pornostar; Angelo Spedicati, Abdul, lo straniero; Nicola De Meo, il pistolero  Francesca Racaniello, la principessa Enrichetta; Rovena Hajderaj, la cantante; Maurizio Donno, il dottor Krass; Enrico Laguidara, il cameriere, Aldo Augieri, l’angelo incustodito.
C’è da dare sostanza al Tempo, all’Attesa; di fermare lo sguardo, di sospendere il giudizio, di dare linfa nuova alla Vita, un lavoro di lunga durata che ha necessità di un inizio, questo di Augieri e della sua nuova Compagnia è un ottimo inizio, rimaniamo in attesa di una nuova prova.

Il progetto nasce dalla collaborazione tra
l’Associazione Salentina Tutela Salute Mentale
“Teatro Asfalto”, “Teatro di Ateneo”
e “Naviganti” (Centro Diurno del Centro di Salute Mentale).