Il Sant’Oronzo del 1981 in una cronaca di Antonio L. Verri
Fernando Bevilacqua mi propone via mail questa lettura…
mi sembra proprio il caso di pubblicarla e di divulgarla
QUOTIDIANO DI LECCE 26 AGOSTO 1981
L’altra faccia della festa. La tre giorni di S.Oronzo
di ANTONIO L. VERRI
Tutto sotto il segno dello spettacolare.
E’ questa festa dei Tre Santi, puntuale da trecent’anni e più, sembra davvero
una occasione speciale, molto provinciale, narcisistica e devotamente beota, per celebrare questo fine agosto salentino, meglio leccese, che il cattivo tempo ed un cielo non molto amico rendono ancora di più fosco e poco rassicurante. Pare che tutto sia da apportare allo sbarco, una bella mattina d’agosto, di Giusto ad Otranto, o a quel morbo così tanto manzioniano che è la peste. Da aggiungere, poi, per completare il quadro, la paura dei terremoti o di altre calamità naturali. Ora è un’impresa davvero favolosa cercare di spiegare al leccese di oggi, come a quello di trecento o solo cinquant’anni, che lo sbarco di Giusto ad Otranto o a San Cataldo è solamente una leggenda, e che su quella leggenda si sonopoi innestate, a furor di popolo e di preti, decine di altre favole e favolette.
O che il bubbone della peste del 1600 0 del 1700 qui non attaccò perché il raggio di ammorbamento, com’è naturale, deve avere i suoi confini. O che dai terremoti ci siamo sempre parati perché pare, appunto, che la struttura della nostra crosta terrestre tenga un po’ di più.
E che, semmai, volendo per forza guardarci da qualcosa, altri sarebbero i cataclismi, altro il puzzo, altro il fetore. La peste. Comunque siamo sulla buona strada visto che la Tre Giorni non pullula solo di Patiti e di Venditori D’Aringhe, ma è attraversata da un mare azzurrino di jeans e dalla presenza, stavolta lievemente pagana, di turisti divertiti (le loro feste, di là durano settimane e sono feste davvero popolari e celebranti la gente e la sua fisicità). Ma si sa, questa festa di fine estate (arriva dopo tutti gli incontri festaioli dei paesi intorno) fatta soprattutto per celebrare tutti i Patiti dell’Ozio e della Battuta, gli appassionati raccoglitori di almanacchi, le Dolci Vanità delle Belle Signore, voluttà, profumi, “servole” arrostite, lazzi e intrallazzi, Cariche Pubbliche.
Il leccese è proprio in questi giorni che rafforza il suo bel temperamento di conservatore. E’ proprio in questi giorni che, tra discorsi e salacità, inneggia al suo bel passato, ai cunti, alla cupeta. ai Personaggi di ieri, in panciolle, fumettari, bottegai protagonisti di radiose e festose passeggiare su è giù per Villa Garibaldi. Come pure bottegaio e fumettaro è da considerare chi avalla tutto questo con fini ben precisi, sempre di conservazione o per non rompere una frittata che dura da molto ormai: un ottuso cronista cittadino, per esempio, che vede nel nostro atteggiamento solo snobismo o qualunquistiche disquisizioni.
Ma la Grande Festa continua. E per arrivare a dirvi qualcosa ci siamo lasciati coinvolgere, a bella posta, un lunedì mattina caldo e colorato. Sapete. I nostri soliti discorsi un po’ barocchi! Un numero incredibile di bancarelle, quasi un serpente multiodore e colore, copre ogni angolo di S, Oronzo. Stesso discorso per tutto Corso Trinchese fino a viale Lo Re. Prodotti d’ogni sorta, bancarelle grosse e piccole, corbellerie d’ogni genere dette dagli imbonitori a noi bovi; crestucce colorate, napoletani e baresi, mercanti del posto qui convenuti in odore di grossi affari; turisti che passano, ridono, e tirano avanti, qualche borseggiatore tra la folla, grosse e piccole macchiette, molti clic, molti trips e patatrac. Saremmo anche tentati di darvi un elenco di tutti i’ prodotti presenti. Ve lo risparmiamo. Vi basti la nostra simpatia per i canditi di Nunzio Spampinato e per i venditori di specchi. Sono in tanti! Ci avviciniamo al palco di centro – piazza. L ‘aria calda ammorbata da più profumi ci carezza in volto come madre dolciastra e voluttuosa. Aspettando che la banda di «Gioia del Colle» (veramente aspettando il suo maestro, che arriva dopo un bel po’. Anche seccato) dia man a qualcosa, ci siamo trovati tra i soliti Patiti che si lamentano «perché qua ci vorrebbe doppio concerto bandistico (uno sale e l’altro scende)». Straparlano, male naturalmente della DC con puntatine agli uItimi avvenimenti di Libia. Ovvero mescolamenti e rimescoamenti, nostalgici ricordi («quanto abbiamo dato per Tripoli!»), commozioni di coccodrillo su «come siamo stati e come siamo adesso». Si parla male della DC. Arriva il Maestro, ricomincia… la musica e tutto conte prima.
Vi dicevamo dei giovani, pimpanti e scollacciati, noncuranti che si muovono tra i palazzi e le chiese in ascolto, come un mare azzurrino tra lente e voluttuose folate di buoni canditi e formaggio fresco, peperoni fritti e Assessori Lessi. Puntuali da sempre, anche i giornaletti festaioli che nessuno compra (dovrebbero comprarli i Patiti, ma hanno l’intera piazza per le loro cronache!) ma che crescono ogni anno, a scapito della qualità naturalmente. La sera ci aspetta la «Lucia» di Donizetti, in piazza Duomo. E quando noi arriviamo, col buio, nel cortile del Vescovato quello che ci troviamo davanti è veramente uno slargo slavato con l’interno del Campanile illuminato e gli «elementi» del maestro Vitale fradici e sacrileghi. Ci si rivede.
Intanto, come uscito dai sotterranei della Cattedrale. con quella sua sincerità un po’ buffa e un po’ scontrosa, viene avanti Eduardo De Candia. E’ immenso. Sembra davvero un guerriero di Riace. Passiamo con lui l’ultima mezz’ora di questo primo festivaliero. Una tornata non certo eccezionale. con questo tempo che minaccia di mandare all’aria anche la seconda serata. I commercianti sono intanto più scuri del solito.
I prezzi e la pioggia impediscono che almeno questo aspetto della Tre Giorni funzioni. Chi non sarà per niente impedito sarà invece l’Arcivescovo Mincuzzi che, senza macchia o paura di bagnarsi col suo nuovo calice d ‘argento (ci pensò il Comune di Lecce a suo tempo: cifra stanziata un milione e mezzo) con tutti, o quasi tutti, i Leccesi in processione, celebrerà il rinnovato prodigio dell’allontanamento dell’antico fetore.
Ma e il nuovo?
Antonio L.Verri
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