Le giovani mani di mamma Antonietta
di Marcello Buttazzo –
Il rapporto umano con mia madre Antonietta è strettissimo, è solido. A 87 anni, lei è per me un faro fulgido, un punto di riferimento essenziale, una guida morale. A 87 anni, Antonietta sa spostare ancora con delicatezza le montagne, sa accogliere con mani tenere, sa comprendere con spirito morbido e aperto. Forse, le madri sono le muse antiche e profonde, capaci di ispirare tutti noi, con i loro carismi, invogliandoci a compiere giuste ed etiche azioni. Quante volte mi sono rivolto, invocandola, alla terra natia, vissuta e traversata da mia madre fanciulla. Sempre pulsante d’amore l’esistenza che Antonietta mi ravviva nei suoi racconti quotidiani. Narrazioni in cui gli avi contadini, devoti alla fatica, al sudore, al decoro, erano paladini di virtù.
Quante volte ho guardato a quelle contrade di periferia, dove mia madre fanciulla con le ginocchia scorticate era intenta a lavorare fra i filari di tabacco. E mi sono familiari i nomi dei nonni, dei padri, degli zii, dei fratelli, delle sorelle. Nino, Nina, Antonietta, Francesco, Aniceto, Consolata, Rosa, Luigi, Lina, Forestina, Giuseppina, Pietro, Carmela, Chicchina. Tanti nomi, che non sono solo figurine da pregare con fiamma votiva, ma sono presenze reali e ordinarie, sono tratti di Dna e genoma tramandati a noi. E anche gli animali dell’infanzia di mamma Antonietta fanno parte del mio immaginario sentimentale. L’asinella “Ronza”, il cagnolino “Bobby”, il maialino selvatico “Pizzacchiu”, trovato in un bosco.
Anche i luoghi fisici, che l’hanno vista scorrazzare bambina, li porto dentro. Le campagne di Monteroni e di Cellino San Marco, dove i suoi progenitori coltivavano la terra come mezzadri. A Cellino San Marco, non sono mai stato, ma so che lì le zolle marroni recano il sangue vivo dei miei bisnonni e le memorie di nonno Aniceto e di nonna Consolata. Sovente, mia madre rammemora i suoi anni fanciulli. E sono onde di purezza, schegge di bellezza, spazi di tempi trasvolati, che ritornano per nutrire le ferite di questa contemporaneità.
Domenica 30 gennaio, leggendo un “Mattinale” sull’”Avvenire”, m’è sovvenuta una storia che mamma Antonietta evoca spesso. Quando aveva 4 anni, nella campagna di Cellino San Marco, lei era una piccolissima furia, scattante e briosa. Sua nonna Antonietta e sua zia Giuseppina le insegnarono i rudimenti del saper cucinare. Antonietta, da piccolissima, imparò, fra l’altro, a fare il sugo e la pasta fatta in casa. Quella tradizione familiare non muore. Mamma Antonietta la tiene, ancora oggi, in qualche modo, accesa.
Ora prepara la sua pasta fatta in casa per noi figli, per i nipoti, per i bisnipoti, come una ricordanza, che sfugge alle rigide e incattivite leggi dell’oblio, e alla triste dimenticanza. Ma a proposito del quotidiano “Avvenire”, domenica 30 gennaio, è uscito questo bellissimo “Lunario” della giornalista e scrittrice Marina Corradi: “Mia madre aveva una macchina per fare la pasta, d’acciaio, con la manovella, uguale a quella che c’era una volta in tante case. La usava in realtà solo a Natale. Quando installava la macchina sul tavolo di marmo della cucina, era il segno: era la Vigilia. Seguivo devotamente la preparazione della pasta, uova e farina che le mani fini e sapienti di mia madre amalgamavano rapidamente. Poi la pasta veniva messa negli ingranaggi della magica macchina, ed ecco uscivano in sottili tagliatelle, o in strisce larghe, che sarebbero diventate tortellini: tutti in fila, come soldatini. Era una liturgia, la preparazione dei tortelli, a Natale. Io non ho mai imparato a cucinare, in casa siamo sopravvissuti a risotti in busta. Ma, con mio grande stupore, il figlio maggiore si è comprato una macchina per la pasta, esattamente uguale a quella di mia madre. E la figlia minore, domenica, gliela ha chiesta in prestito, è andata a comprare le uova e farina per fare la pasta in casa, ed è venuta molto buona. Non capisco come le sia venuto in mente. Che certe sapienze siano ereditarie? Le sue giovani mani che giocano dentro la farina, agili, in una capacità innata. Quanto somigliano alle belle mani di mia madre, danzanti dentro la pasta come sulla tastiera di un pianoforte”.
Marcello Buttazzo
Lascia un commento
Devi essere connesso per inviare un commento.