Al giro di boa, su rotta 75
di Rocco Boccadamo –
Non per mero vezzo, ma del tutto spontaneamente, così mi viene di appellare, beninteso con ovvio riferimento soggettivo, il compimento dell’almanacco 2016.
Tuttavia, con pari schiettezza intellettuale, devo subito annotare che la cospicua cifra, integrante in senso anagrafico l’intestazione di queste note, non è da me avvertita alla stregua di un fardello che genera o deve necessariamente dar luogo ad ansimi e sospiri e/o come un campanello d’allarme di fronte a perigli e acciacchi ineludibili e inevitabili e/o come un avvicinamento al “fu” (passato a migliore vita).
Infatti, riguardo al progressivo assommarsi di primavera dal lato anagrafico, è da un pezzo che, dentro, vado dicendomi che io, ragazzo di ieri, sono, in fondo, senza età.
I giorni e le stagioni mi scorrono accanto leggeri, a ogni dischiudersi degli occhi, come pure durante l’ammirazione stupita, verso ovest, dei rossi tramonti salentini, mi sembra di registrare una conquista, di essere beneficiario di un prodigio.
In tal guisa, adesso, si succedono, dunque, i miei scalini esistenziali.
Di siffatta visione e del mio personale convincimento, ho di recente reso confidenza
alla cara amica Giuliana, invero un po’ meno “ragazza di ieri” rispetto a me, e mi è sembrato che lei, sorridendo con la sua consueta dolcezza, annuisse e concordasse.
In tema di anni, capita sovente che mi si accostino pensieri e piccole riflessioni sulla circostanza che mio padre se n’è andato a pochi passi (mesi) dagli ottanta; mentre, il suo genitore, ossia mio nonno Cosimo, classe mille ottocento settantanove, arrivo fino al mille novecento ottantadue, dunque, con un bagaglio di oltre centodue primavere.
Ad ogni modo, non mi pongo neppure minimamente l’idea di elaborare termini di paragone o di congetturare scadenze alla luce dei suddetti riferimenti al livello di predecessori famigliari.
Del resto, come prima ricordato, sono uno senza età.
Ritornando brevemente alla figura dell’avo paterno ultra centenario, la mia amica Alba,
nata da una Boccadamo, ha appena voluto gentilmente inviarmi l’albero
genealogico, da lei realizzato con paziente lavoro di ricerca, concernente un determinato ramo della gente marittimese portante tale cognome.
In conclusione, per quel che la riguarda e, allo stesso modo, mi concerne, così come mio nonno Cosimo e il suo, Costantino, erano primi cugini, i rispettivi bisnonni, Generoso Silvestro e Antonio Maria, vantavano il legame di fratelli.
Grazie di cuore, Alba, per l’originale è prezioso documento, amabilmente passatomi.
Ecco, in estrema sintesi e secondo gli aspetti e le vicende essenziali, come si è rivelato e dipanato il 2016, sia nel mio sentire, sia sotto l’aspetto di concreto coinvolgimento.
Riprendendo il titolo, nella sfera del mio mondo più prossimo, famigliari e altre persone vicine, paragono il 2016 a una sorta di gerla (è la seconda volta che mi scorga quest’accezione), invero assai affollata di avvenimenti, per di più dai colori diversi e anche opposti e contrastanti.
In primo piano, purtroppo, non sono mancati problemi di salute: ove, fortunatamente, risolti e superati, ove, tuttora presenti sulla scena, con sfide che continuano. Di riflesso, confidenze e consuetudini con figure specialistiche e strutture addette ai lavori.
Una serie di prove, insomma, e non liete, rispetto alle quali, tuttavia, c’è una costante
diffusa: la ragionata consapevolezza dei protagonisti chiamati a farsene carico, che il primo rimedio o presidio curativo si trova in loro stessi, nella loro volontà e determinazione di non rinunciare e, anzi, di tentare sempre.
Carichi di preoccupazioni su più versanti, insomma, e, però, con relativi pesi alleviati dalla gioia e dal piacere di vedere crescere, sane e belle, le giovanissime leve famigliari, idealmente frutti dei campi esistenziali che noi adulti abbiamo cercato di creare e coltivare al meglio.
Come dire, tirando le somme, preoccupazioni ma anche consolazioni autentiche.
Frattanto, prosegue la rotta del ragazzo di ieri, a 360 gradi, con o senza la barchetta a vela dondolante nel porticciolo e/o filante sulle distese che fronteggiano le amate scogliere.
L’altro ieri, nel primo pomeriggio, sotto una temperatura rigida per queste plaghe e nella vivacità dei soffi di tramontana, ho compiuto una puntatina a Castro, mio conclamato luogo dell’anima, al pari dell’insenatura “Acquaviva” e della natia Marittima.
Bevuto un caffè ritemprante allo “Speran” sulla piazzetta, dietro il bancone tre carinissime ragazze di cui una moldava, ho imboccato lo scalo delle barche per l’immancabile occhiata di fine anno al vecchio e al nuovo porticciolo.
In una delle grotte che si trovano da secoli scavate nei lastroni di roccia sulla sinistra della discesa, ho trovato il giovane amico Luigi S., pescatore e artigiano tuttofare e, d’estate, “barquero” (socio della cooperativa che gestisce lo stazionamento delle imbarcazioni da diporto), in compagnia di Nzino, quest’ultimo quasi mio coetaneo, il quale stava sistemando il suo conzo in un grande cesto di vimini. Alla mia domanda se si accingesse a
calarlo, Nzino ha risposto di no, “l’ultima volta l’ho fatto prima di Natale”. Poi, l’uomo è di getto passato a ringraziarmi sentitamente e calorosamente per il
dono, ricevuto a casa, del mio libro “A Castro con il cuore” ed è stato per me assai gratificante sentirmi da lui definire “u meiu casciaru” (il migliore degli abitanti di Castro).
Quando, io, ho visto i natali non a Castro, bensì nella contermine località di Marittima.
A un certo punto, è arrivato anche Nino, il mio mitico pescatore di saraghi, nella circostanza, però, vestito non da lavoro ma con abiti di festa; con il suo abituale sorriso, “ad aprile saranno novantatré” mi ha confidato, non senza aggiungere, a seguire, “anche a me è arrivato il tuo libro, grazie”.
Proseguendo, sulla banchina interna lato mare del porto nuovo, ho scorto tre persone, Antonio, comandante della “chianci” (barca consortile), Luigi S. e un’altra di cui non conosco o ricordo il nome, impegnate in una conversazione ad altissimo volume, vertente sul numero di reti o altri strumenti calati in mare e anche sui rispettivi più recenti risultati in fatto di pescato.
Oltre la diga foranea, mentre sulla distesa liquida si palesavano nitidamente i segni della tramontana, in barba ad essi, Antonio S., pure lui, d’estate, “barquero”, sul suo battello calava a più riprese e, con l’ausilio del “salpa rete”, tirava su il lungo attrezzo di pesca a maglie.
Dopo, ho scelto di restarmene per un po’ seduto al sole e riparato dagli spifferi della tramontana a ridosso dell’alto muraglione verso nord.
Lì, via ancora a snocciolare pensieri, ricordi, esperienze, incontri, storie, immagini, un rosario di tasselli di umanità e dintorni dei più svariati.
Il congedo da quel luogo tanto caro è stato sereno e all’insegna del sorriso e accompagnato, altresì, dallo scontato proposito di presto ritornarvi.
Finendo, statti bene e lungo sonno, 2016, nonostante tutto, senza rancore; quanto a te, anno nuovo, ti aspetto e, mi raccomando, sii buono e bravo!
Un mare di auguri a tutti.
31 dicembre 2016 Rocco Boccadamo
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