di Marcello Buttazzo

L’Italia istituzionale, sui diritti, latita drammaticamente. Nonostante le quotidiane discriminazioni cui è soggetta la comunità Lgbt, non si riesce a formulare una necessaria e punitiva legge contro l’omofobia e contro la transfobia. In questi giorni, dopo mesi di proclami di Renzi, il riformatore in camicia bianca, il ddl. Cirinna, che ha l’intento di legalizzare le unioni di fatto omosessuali, è stato incardinato al Senato. Ma, verosimilmente, slitterà al prossimo anno. Il governo di larghe intese poggia su un’ibrida alchimia. Il Ncd di Alfano, Rocella, Sacconi, da sempre ligio ai valori cosiddetti “non negoziabili”, fa della discutibile “legge naturale” un feticcio, e artificiosamente tenta di soddisfare le esigenze delle alte gerarchie ecclesiastiche. Il Pd, al suo interno, deve fare altresì i conti con l’ala cattolica, molto nutrita e intransigente. La situazione politica, nel nostro Paese, è molto avvilente. Certa Chiesa cattolica, con le sue rigorosissime linee di principio, senz’altro non aiuta. Il sociologo Andrea Boraschi, parlando di omosessualità, si sofferma sulle “due facce della Chiesa”: una “fatta di relazioni umane, di accoglienza, di non discriminazione, di tolleranza”; un’altra “severa, gerarchica, dottrinale e autoritaria”. Indubbiamente, la nostra Chiesa cattolica è una grande madre, che talvolta su diverse questioni dimentica di essere comprensiva, inclusiva. Su varie tematiche etiche, accanto ad un’alta gerarchia ecclesiastica che agita continuamente la sua clava, ci sono religiosi di strada che, con estrema razionalità, si fanno interpreti d’una antropologia morbida in ragione d’un corretto divenire. L’Italietta politica delle Binetti, dei Gasparri, dovrebbe imitare tantissimi Paesi emancipati, che hanno una legge contro l’omofobia. In America, ad esempio, i reati basati sull’orientamento sessuale sono equiparati a quelli di razzismo. Ci chiediamo, infatti: come si fa a discriminare la gente per il colore della pelle, per altre caratteristiche somatometriche, per la sessualità? A nessuno è concesso violare l’interiorità e l’integrità delle persone con vergognosi oltraggi. Ognuno di noi dovrebbe avere la possibilità di amarsi alla luce del sole. È davvero sconcertante e stupida la pavidità di chi, assistendo alle ricorrenti aggressioni contro cittadini omosessuali, decide di non reagire lecitamente dinanzi alla viltà dei violenti e feroci molestatori, dei meschini da branco, che in qualche modo andrebbero bloccati e resi inoffensivi. Certo, la questione, prima che securitaria, è di natura culturale. Occorre una corretta informazione nelle scuole, giusti interventi delle famiglie. Fra i clericali, purtroppo, c’è chi definisce ancora l’omosessualità come una “devianza” da un “normale” orientamento sessuale.

A questi paladini medievali, consiglierei, molto sommessamente, di vedere un vecchio film, “Viola di mare” di Maiorca, per capire quanto meravigliosa, affettuosa possa essere una storia sentimentale fra due donne. La poesia che traluce tra le due protagoniste del film è un inno solare alla vita. E, talvolta, sono sovente i settori più autorevoli del cattolicesimo a peccare impunemente. Qualche anno fa, leggendo un editoriale de “L’Avvenire”, quotidiano della Cei, rimasi sconcertato da alcune considerazioni di Francesco D’Agostino, presidente emerito del Comitato Nazionale di Bioetica, insigne giurista. Il professore, nell’articolo, ci impartiva per l’ennesima volta la sua lezioncina morale su amore, omosessualità e dintorni. I suoi fendenti colpi di scimitarra erano indirizzati senza scampo alla cantautrice Gianna Nannini, “colpevole” della seguente “sciagurata” asserzione: “L’omosessualità la cancellerei dal vocabolario. Se è amore, è amore e basta; non c’entrano i sessi, non puoi fare distinzione, questo sì, questo no”. Difatti, l’orientamento sessuale è solo una parte della identità di ognuno di noi, che è sempre in perenne trasformazione, in continuo divenire. D’Agostino replicava, nel suo pezzo: “Amore ha sempre bisogno di essere aggettivato”. Certo, nel corso d’una esistenza si può vivere un amore adolescenziale, fatto di vibrazioni e di profumo di viole, e un amore adulto di sicurezze e di adesioni ad un solido principio di realtà. Senz’altro, l’amore può essere “felice” o “infelice”, “materno” o “filiale”, “mistico” o “carnale”; se si è fortunati si può “impazzire” per un amore stilnovistico e, al contempo, voluttuoso. D’Agostino non può, però, scrivere con evidente noncuranza che “è amore la necrofilia ed è amore la pedofilia”. Non si può obbedire acriticamente ad una cultura confessionale e, come al solito, mischiare le carte, ingenerare clamorosi fraintendimenti. La necrofilia e la pedofilia sono delle gravi patologie: non c’entrano nulla con l’amore. La pedofilia, in particolare, è un dolorosissimo reato, una terribile violazione. Certi intellettuali non possono fare di continuo trucchi, non possono alfine “armare” la mano di alcuni politici illiberali e sprovveduti. Ricordo che in apertura del suo articolo D’Agostino sosteneva: “Mi piacciono, e non poco, Gianna Nannini e la sua musica”. Speriamo, quantomeno, che il presidente emerito abbia capito la poesia pop della bravissima artista toscana.

                      Marcello Buttazzo