Nikos Kazantzakis, poeta della Visione
di Anna Rita Merico –
Un taglio preciso e netto la recitazione algida ed essenziale di Tommaso Ragno nel film “Nostalgia” di Mario Martone. Di Tommaso Ragno resta indimenticabile la lettura recitata e il personale commento dell’Ulisse di Kazantzakis durante le fasi finali del lavoro di traduzione di Nicola Crocetti.
Nikos Kazantzakis, poeta della Visione [1]
Cretese di Iraklio, visionario oltre ogni dire, scavatore degli abissi dell’animo umano, finissimo conoscitore della cultura europea, cultore superbo della lingua greca e delle sue radici ultramillenarie. Colto ma sprofondato nella parola popolare, quella che più conserva la connessione con l’antico del significato. Archeologo attento del suono e del ritmo. Kazantzakis ha la visione di un’umanità che deve poter raggiungere una propria realizzazione spirituale. É intimamente consapevole della profondità di mutamenti che vanno attraversando l’essere uomo e punta su di un superamento alto in grado di portare ad un abbattimento del limite e delle maschere che hanno legato l’Umanità nel corso del suo andare.
Kazantzakis realizza anni e anni di ricerca intorno e dentro i termini dell’idioma greco per distillarne parola atavica. Ricerca tra i pescatori, i pastori, le riparatrici di reti, gli umili, gli anziani termini che, poi, pesa, soppesa, annota, conserva, trascrive nelle sue carte impilate e infinite pervase da smisuratezza d’amore per il demotico. L’Odissea di Kazantzakis è opera monumentale. Ventiquattro canti costruiti intorno a impalcature precise: la terzina dantesca, lo schema triadico del sistema hegeliano, l’alfabeto greco, una metrica tutta legata al ritmo del sentire; lavoro di stesura durato più di tredici anni (dal 1925 al 1938).
Torna l’incipit con la narrazione delle imprese. Stavolta essa non avviene più nella Reggia di Alcinoo ma di notte, dopo il ritorno, presenti e fermi come in una tela, Penelope colei che si fa e si disfa, Laerte ormai fetale nella sua prossimità al trapasso, Telemaco che attende la narrazione accoccolato nella sua tensione di nodi che chiedono di sciogliersi.
“Nella sua mente si levano mari s’imporporano rive,
risuonano gioie, risa e pianti, fortezze in fiamme;
la gola robusta soffoca, non riesce più a parlare.
La botola azzurra della memoria marina si apre;
chi ricordare per primo, chi rigettare nell’oblio?” [2]
Non è più Odisseo che smuove identità (la sua, fondandola). E’ un Odisseo pregno di sé, equilibrato, attento ai movimenti della sua memoria e del suo dire.
“… Giuro sul mare, abbiamo dentro mostri complicati,
il cuore è un polpo, lo sbatti, ma resta sempre duro!
… Il cuore dell’uomo è una bestia oscura, amici!” [3]
Capitan Conchiglia, l’Arciere, l’Omicida, il Solitario, il Bronzista, Roccioso, Granito, Centauro, il Vendemmiatore, il Giramondo, il Prode, l’infido Gabbamondo, il Tormentato… una galleria indimenticabile di epiteti segnano e disegnano Ulisse di Kazantzakis.
La dimensione della lotta, in Kazantzakis, si sposta dal campo iliota per divenire lotta nel dentro di un ricerca di ri-fondazione dell’Umanità. I cuori, attraversati dalle doglie, generano Dio. Il Canto XIV dipana la sua forza espressiva mostrando il nucleo della ricerca spirituale dello Scrittore, il Creato intero diviene complice dell’Umano che chiede libertà dalle stirpi, libertà dal corpo mentre, il Conoscicuori ride…
Un ritmo serrato, una passione per la trama degli accadimenti, un continuo filo tra animali, uomini e Creato tutto. L’ascesa al Monte riempie il cuore, il Viaggio è Viaggio di dentro. E’ Viaggio che genera nuova Terra e nuovo Cielo. C’è tutto il pensiero filosofico e poetico del XX sec. in quest’Opera di nudi intenti.
“Io lascio la mente libera di smaniare in segreto,
desiderare ciò che non ha o quello che ha perduto;
ma io le redini le tengo strette e salde in pugno,
e lascio che il cavallo pascoli e sogni senza paura”. [4]
E’ un Ulisse che, nella sua dirompente contemporaneità, dialoga a tu per tu con un Dio cui si sente pari mentre combatte contro la Morte a fronte della quale oppone la Speranza. Un caleidoscopio da cui irrompono schegge di un sentire cosmico che richiama ad una Creazione altra. La ricerca di Kazantzakis mostra le sue pieghe profonde: più che verso la bellezza, essa è volta verso la verità, verso la tensione per un’utopia che non deve restare tale ma deve poter divenire storia
La bellezza del Canto XVI è un inno ad una pagana bellezza. Ulisse, è pronto a ripartire.
“Madre dalle grandi mammelle che pendono sull’abisso,
mi sono dissetato, non voglio più il tuo seno destro;
buono il tuo latte bianco, Madre, ma ora voglio il nero;
ed ecco, impugno con le mani il tuo seno sinistro!”[5]
Il Viaggio continua, spessore iniziatico forte sino alla comparsa su Ulisse del “terzo occhio”, quello della conoscenza. Ulisse lascia la vita, la sua morte è avvolta in una processione di ombre cui partecipano tutti. Il Sole, proemio ed epilogo, simbolo della dimensione di ricerca della spiritualità, guarda lo spirito dell’eroe svanire, in realtà, spirito che si congiunge al Cosmo continuando, imperituro, a creare. E’ Ulisse-Kazantzakis che esce dalle pagine dopo essersi fatto umanità, dopo aver attraversato ogni piega possibile dell’animo umano, dopo essere tornato, imperituro, a dirci.
Anna Rita Merico
1] Nikos Kazantzakis, Odissea, Crecetti Editore, novembre 2020
2] Ivi pg 34
3] Ivi pg 189
4] Ivi pg 265
5] Ivi pg 523
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