Nell’incanto di “maestra poesia”
di Marcello Buttazzo –
su: Fabio Strinati, Nella Valle d’Itria il sole e l’oro, Nuova Palomar Editrice, 2021
Il marchigiano Fabio Strinati, giovane e prolifico poeta, scrittore, esperantista, aforista, agricoltore e compositore anarchico, è presente in alcune riviste e antologie letterarie. Alcune sue poesie sono state tradotte in rumeno, in bosniaco, in spagnolo, in albanese, in francese, in inglese. È direttore della collana poesia per le Edizioni Il Foglio. A scorgere la sua feconda biobibliografia e qualche notazione della storia umana e poetica, si resta impressionati favorevolmente per l’alacrità di intenti e per le visioni aperte, per i pensamenti lungimiranti. Sensibile all’ecologia sociale, al baratto, all’agricoltura biologica, al collettivismo, al pacifismo, Strinati è un uomo singolare, attento soprattutto al rispetto dell’identità di ciascun individuo. In questi ultimi anni, l’Autore marchigiano ha pubblicato come un inarrestabile fiume in piena, rompendo gli ostacoli degli stereotipi e dei retrivi fissismi, viaggiando sempre sulle ali immaginifiche della maestra poesia.
Nella sua ultima opera in versi, “Nella Valle d’Itria il sole e l’oro” (Nuova Palomar Editrice, 2021), fa vibrare vorticosamente il tamburo della musicalità, esprimendo un amore sconfinato per la Puglia. La nostra Terra riarsa dal sole, di zolle marroni, di boschi virenti, d’una flora e d’una fauna lussureggianti, è tratteggiata in tutto il suo vigore sorgivo, in tutto l’illeso splendore. La nostra Terra, dove l’oro gialleggiante del grano e il volto del sole, dio di fuoco, dominano incontrastati, diventa uno scenario d’elezione, un luogo dell’anima, una casa del pensiero. La Valle d’Itria ha un respiro, un cuore palpitante, e ogni trasalimento del poeta è un esercizio d’esperanto. Questo l’insegnamento supremo della poesia.
Strinati, arabescando i suoi scorci paesaggistici e naturali, non è mai ripiegato su se stesso; anzi, in un anelito universale, lui con un pennello di suoni dipinge luoghi, spazi e tempo. Che sono di tutti noi, di ogni individuo. La stagione che erompe e esplode in tutto il suo chiarore, in tutto il suo barbagliante lucore, è l’estate. Possiamo dire che l’estate con le sue creste d’oro e con i suoi raggi d’ambra incidente sia la stagione dell’anima di Fabio Strinati.
L’Autore ha una sua concezione filosofica e panica del creato, che è, per l’innanzi, armonia di individui e di piante, che popolano gli spazi. In Valle d’Itria, svolazzano i pettirossi, tremano le foglie al vento strano, si sente l’odore del tempo, la civetta nel buio assorbe nuvola sottile. E poi nel gufo s’ascoltano le storie, l’assiuolo è là fuori a disegnare stelle, ai margini del bosco se ne sta un barbagianni. “Nel canto libero, la Valle d’Itria/ch’è figura e ritmo di sagome e chiarezza”. È questa la cifra dirimente e qualificante della poetica di Strinati. La libertà. Che, evidentemente, per l’Autore, è primariamente una conquista esistenziale, un’etica di comportamenti. Ma la libertà si riverbera ampiamente anche nella sua sperimentazione linguistica e formale. Nella raccolta, la grammatica e la sintassi vengono destrutturate. Non compaiono rime, né orpelli, né barocchismi, né ricerca della figura retorica, ma solo eleganti versi in libertà d’amore, di musica, di pensiero. In certa misura, si nota la capacità intrinseca aforistica dell’Autore.
La silloge è un continuum, un flumen che procede dal primo all’ultimo verso, in un abbraccio fraterno, in una vigorosa stretta di mano. Procede, nel sole. Non c’è interruzione del ritmo, sempre alto e sostenuto. Una musicalità inerente nel verso e un lirismo assoluto, che ricordano in parte la bellezza della poesia fotografica ed essenziale di Sandro Penna. Il tralucere della Natura e il brulicare di ulivi secolari, di boschi trasognati, di uccelli che cinguettano e definiscono la vita, insomma l’aspetto selvaggio e forte d’una Natura pura è presente significativamente in un grande poeta salentino, Salvatore Toma. A differenza di Toma, in Fabio Strinati le forze della Natura sono più dolci, più serafiche. In questa raccolta, il teatro del poeta è una Terra che sa accogliere, sa far innamorare, sa risplendere. Ardimentoso è il poeta e incantati sono i lettori al cospetto di pagine d’una straordinaria potenza evocativa. Strinati in Valle d’Itria con l’animo placido naufraga in un mare di libertà. I versi originalissimi de “Nella Valle d’Itria il sole e l’oro” sono quasi un compendio di viaggio (esistenziale) d’un grande poeta, che cerca e trova nella nostra Terra la ragione più intima del tempo e delle stelle. Dell’oro e del sole.
Un angolo di Puglia la Valle d’Itria,
di pioggia bagnata, nel tintinnio
e di quel giùbilo che porta in dono
l’abito dorato. Dalla forma rara,
ché ti mescoli ai giorni solitari;
l’unica sapienza che ti porti dentro.
5 maggio 2021
Marcello Buttazzo
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