di Marcello Buttazzo –

Il giardino dell’anima e quello che ci naviga dentro. Di continuo scavo nel mio intimo, guardo con lente da microscopio elettronico i miei vissuti, scandaglio come un rabdomante di pensieri il mio sommerso, per fare emergere lucori e zone d’ombra. Ciò che è più oscuro in me tento di indagarlo con piglio non integralmente severo. Ormai, in quest’età di mezzo già superata, non mi giudico più in modo ineludibile. La perdonanza. Adesso ho clemenza per i miei limiti, per i mei difetti. Mi accetto per quello che sono. A vent’anni avevo grandi sogni. In quegli anni di università romana, agognavo intensamente di poter fare il genetista o lo zoologo. Ciò non è stato possibile, per una serie di motivi. Ho passato parte della mia giovinezza a dannarmi l’anima, a giudicarmi negativamente, a non perdonare le mie manchevolezze. Ho compreso solo con il passare degli anni che l’intransigenza con se stessi (e, ovviamente, anche con gli altri) è un atteggiamento da evitare, perché con il proprio sé, con la propria interiorità, occorre più che mai morbidezza e comprensione. Tuttavia, le passioni non passano con l’incedere del tempo. “I desideri non invecchiano quasi mai con l’età”, canta Franco Battiato. Anzi, per poter vivere desti e sereni è fondamentale coltivare il proprio virente giardino di piccole cose. E il sogno, la speranza, l’attesa, l’utopia, sono sempre un benvenuto adattamento culturale. Nel 2006, feci un piccolo esperimento, sostanziato di parole, di pensieri, di sensazioni, di voli della fantasia, di vagheggiamenti. Sempre nel giardino dei miei vissuti. Nacque un libretto di poesie, “Nei giardini dell’anima”, pubblicato da Manni Editori nel 2007. Nei miei giardini convivevano l’amore per le muse, per la Natura, per gli animali. La presenza, l’assenza. L’intimo travaglio. Il dolore fittamente sviscerato e metabolizzato. L’amore per la vita piccola e infinita. L’abbandono della musa (che a un certo punto decide di seguire la sua strada), visto non come una sconfitta, ma con l’aura della melanconia, dello struggimento, della sete d’amore. L’amore diventava un canto di cicale in campi sfiancati dall’estate, quando fra il giallo oro del grano occhieggiavano rossi i papaveri. La musa era viva, palpitante, trasalimento di vento. Come un cielo chiaro di imminente primavera. Il suo sangue di Venere assente sussultava come improvviso lampo di vita. Nei miei giardini dell’anima c’è sempre lo stupore e la meraviglia, la capacità di provare sbalordimento per le cose più semplici e legami di affetto per la gente più umile, più dimessa.

Dalla raccolta di versi “Nei giardini dell’anima” riporto due brevi poesie:

1)

Vento che spettini i pensieri,

carezzi le giovani gote

e flessuoso danzi

sulle cime del mandorlo fiorito

portami la sua voce,

sibilo, tormento.

Portami le piume di cristallo

dell’uccello

che più non torna.

Vento fai del tempo

un’estasi un tumulto

un gioco vorticoso di gioia,

cantami la melodia

dei mille violini,

ridammi gli occhi

di chi un giorno

era la mia alba.

2)

Dimenticai

la terra dei limoni

delle arance

degli ulivi contorti e assolati

e guardai nel tuo cielo.

Il cielo delle stelle di fuoco.

Ti vidi nuda

spruzzata di pioggia.

Tu mi lambivi il cuore

e giocavi con la mia vita

fatta di niente. 

             Marcello Buttazzo