Madre
di Marcello Buttazzo –
L’infanzia,
una ninnananna dorata
fra le tue braccia
di liberale vestale.
M’educasti
all’ascolto delle cicale
e dei fragori popolari
che giungevano dal cortile.
Infinite sfinite corse
sotto il sole rovente del meriggio
come giochi d’eterno
che non passano.
Allora consolavi, madre,
il pianto dirotto impetuoso
che a volte mi rigava il viso
perché da fanciullo
non sapevo ancora perdonare me stesso
e mi rinchiudevo
in una trappola di sacrificio.
La gioia,
mi donavi la gioia
d’una tenue carezza
per mio diletto infinito.
Ti vedo adesso
che il tempo inesorabile s’avanza,
che giri e rigiri per la casa,
che sorride ai tuoi passi.
Ti sento
che ancora narri
racconti di vissuti contadini
di amori giovanili
e comprendo che sei più viva
dell’ardore di centomila ragazzi.
M’incanto
sui solchi delle tue rughe,
sulla scia dei tuoi anni.
Tu m’insegni
che verrà la primavera,
anche stavolta.
E non sarà un inganno.
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