di Marcello Buttazzo –

In fondo al mare riposa il ricordo, come una conchiglia biancastra e preziosa negli abissi del tempo. In fondo al mare la tristezza ferrigna, le storie spezzate, le mani ferite, le vele ammarrate, il dissolto passato.  Nelle profondità più riposte quello che fui e non sono più. Il mio angelo, paradiso e fiaba, lampo e fiamma, mi dormiva accanto, fra gli ombrelloni dello stabilimento balneare, sotto i raggi del salentino meriggio. Le carezze che mi desti, quel tuo corpo odorava di sambuco e salvia. Il tempo s’arrestava alle porte del giorno, come un respiro il cielo m’interrogava sul perché d’un amore senza fine. Quell’orizzonte magia m’attraeva con sole e ambra, sul mio petto camminavi come una strada affidabile. Il pensiero vagabondo scorrazzava con cavallucci alati e marini fra spume dorate. Gli amici incontrati per strada avevano negli occhi sorrisi e oceani quieti. Tu mi stringevi. Il passato con te, fiume lento scivolato in un oblio d’imperituri sentimenti. Fra le dune di sabbia, veloce correvi sotto i soli d’agosto, come una giovane dea di bellezza, sospiri, attese, speranze. Il giorno era un tormento sonoro, un eterno bambino, un florilegio di centomila colori. Tu sovvenivi con violini e arance. Con le arance insanguinate dei campi travagliosi e arsi d’amore. I campi salentini, dove drappeggiasti il tempo, frantumandolo in secondi d’eterno. Quanto silenzio, quanta pace, quanto cielo, fra le tue mani gioiose. Mi afferravi dolcemente nelle lotte d’amore, come una cosa cara, come una nuova stagione. Quante volte mi affidai alle tue mani leggere, che mostravano la rotta, il cammino del buon marinaio. Nel mare, quel sentiero verdechiaro. Nel mare, i camini rosei, i nostri corpi immersi che diguazzavano, l’isola dei conigli. Come una bambina giocavi alle onde, il rosso pallone trasvolava come pezzo di anima volatile. L’estate salentina t’aveva svelata, svestita, dea degli arenili infuocati e bellezza rotondeggiante di arguto pensiero. Io aspettavo impaziente la carezza dell’aurora, del primo fioco barbaglio. L’alba s’era appena levata e tu dormivi nel nostro letto di sogni e parole, muschio e spezie. Neghittoso raggio per la finestra. Sulla pelle ancora la flagranza dell’angelo mio, croccante come pane. Di effluvi di viole e di corpo di donna profumava tutta la stanza. Di notte, nel letto, m’ero girato e rigirato, per un attimo m’era sovvenuto il morto passato: ma solo per un attimo, perché un impeto d’amore e uno slancio di vita m’avevano ridestato al presente. Con mano attenta toccai la tua pelle di fata, miracolo e desiderio, morbidezza di luna, estasi, fuoco, scintilla. Scesi per strada. La mattina silente appena nata ti celebrava. Migranti neri per la via andavano veloci verso le consuete mete di lavoro, i ragazzi s’affrettavano, i caffè si popolavano. I platani mi salutavano.

Marcello Buttazzo