La Puglia, pane, pietra e poesia
di Mauro Marino
La Puglia è di pane, di pietra e di poesia; la sua natura carsica è capace di filtrare il “sentire”, lo lascia venir su mutato in parole, in versi, in canzoni. È sempre stato così! Io conosco il Novecento, non sono un critico e la passione per la poesia è cresciuta nell’inciampo: nomi, biografie, versi, occasioni, piccole e grandi folgorazioni, hanno impastato incontri, dato storie alla mia militanza.
Antonio Leonardo Verri da Caprarica di Lecce su tutti – mio iniziatore alle “cose” di qui, ma tanti altri hanno dato lucido alla passione e rinvigorito la certezza riguardo alla intima natura della nostra “lunga terra”.
Tenendo ben presente il passato di Comi, Bodini, Pagano, Gatti, Serricchio e di tanti, tanti altri, ormai nello scrigno della memoria, rimango in un tempo a me vicino e faccio dei nomi. Vittore Fiore “nato sui mari del tonno” a Gallipoli e cresciuto a Bari; il mite e “domestico” Ercole Ugo D’Andrea illustre e segreto nella città che fu del Galateo; il per me “necessario” Vittorino Curci da Noci – nel suo “La ferita e l’obbedienza” leggo: “Scrivere poesia (…) vuol dire essenzialmente ascoltare” e mi esalto nella “missione” del divulgare, del fare poesia l’agire, l’esserci, ogni atto – anche il più piccolo – mosso all’aver cura.
Già, l’accudire, non è in questo la poesia? Non è nel dono dell’accogliere voci-parole per darle, donarle nel suonare del verso? Non è nell’attenzione volta a chi la sceglie come sponda della propria sensibilità?
Ma torniamo ai poeti di Puglia, ché tutti hanno mostrato questo vivo sentimento dell’”aver cura”, sarà perché il margine meglio si presta all’attenzione: guardare dalla “linea di confine” ti mette le radici e spinge lo sguardo oltre il valico, ti fa custode e nomade e il far rivista spesso è diventate – nella nostra storia letteraria – lo strumento per fortificare il far versi, per trovar compagni nel cammino e muovere in dialoghi che di volta in volta hanno allargato, spostato, estinto il limine, la linea di confine.
Prima prima “L’Albero” di Comi, poi l’ “Esperienza Poetica” di Bodini e il “Critone” di Pagano, più vicino a noi il “Pensionante de’ Saraceni” di Verri. Oggi gli “Incroci” di Lino Angiuli il poeta monopolitano, quello de “L’appello alla mano” dove leggo “le mani hanno cento occhi” aprendo i miei al Mediterraneo dei conflitti cantato da Giuseppe Goffredo, o alla Taranto ferita di Angelo Lippo, o al Salento tarantato di Maurizio Nocera, o alle immense rabbie di Michelangelo Zizzi o a quelle meridiane di Salvatore Toma, Pierluigi Mele, Elio Coriano a quelle ancora insopite della nostra amata Claudia Ruggeri e a quelle della straordinaria Comasia Aquaro con “i pugni al sole e nel volto una folla”.
Abbiamo padri e madri, abbiamo fratelli e sorelle nella tanta lingua della Puglia: le voci della poesia ci aiutano a guardare, a meglio interpretare ciò che ci è intorno e la natura, il paesaggio, le persone, le città ci appaiono per come sono in una sensibilità percepita, esplicitata, detta in un verso. C’è verità lì? Certo svelamenti capaci di accompagnare nel varco del senso, dell’ovvia consuetudine dello stare al mondo. La poesia è pane e le voci dei nostri poeti hanno il sapore di quelle differenze che solo il pane di Puglia sa così bene sintetizzare.
Una geografia ideale delle cose che accadono oggi in Puglia sul versante del fare poesia possiamo trarla dal programma della “Notte dei Poeti” iniziativa in corso in questo mese di giugno promossa da “Teca del Mediterraneo – Biblioteca Multimediale del Consiglio Regionale della Puglia” per l’organizzazione di “Farm”, con le voci messe in campo da Incroci, da Lega Italiana Poetry Slam, dal Fondo Verri, da Poesia in Azione, da Inchiostro di Puglia nei borghi di Otranto, Ostuni e Trani. Ancora nomi, tanti nel programma su www.lanottedeipoeti.it un popolo e tante declinazioni dell’agire poesia.
Agire, fare! La poesia e i poeti servono a scrivere la vita: la via possibile. A scovare tracce, servono!
A segnare lo spazio, a recuperarlo dall’oblio e dalla nostalgia. Dalle malìe di quanti dimenticano le parole, scordano la melodia e fanno finta di non sapere… chiudono gli occhi per non sentirsi responsabili.
È cruda la poesia quando insegue, scrive la vita, il reale, il quotidiano e ciò che lo trascende. E’ urlo, la poesia. Urto, scontro… Così è, così è da sperare sempre sia la poesia… e il poeta: un coraggioso capace di guardare la polvere nascosta sotto il tappeto della consuetudine. Guardala per decifrarne i resti, l’origine, il primo canto dove dorme la speranza di un risveglio. Per salvare le parole dalla loro esistenza momentanea, transitoria e condurle verso ciò che è durevole. Per trovare il peso della voce, il canto, l’atto che comunica, va all’altro. Trovare un palco, un’alzata, un gradino, un niente e declamare, spiegare il verso al vento che lo porti a chi non sente. A chi si ostina muto a credere e a non credere nella terra di mezzo del senso, dell’ascolto, dell’accogliere. Del dubbio. Di questo abbiamo bisogno, di farci “capaci”, pagina bianca… solo quella può contenere un futuro possibile, solo quella un’altra voce! Un altro noi…
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