di Marcello Buttazzo –

La vita si sostanzia, talvolta, di incontri, che avvengono spesso casualmente. Ma non per caso. Incontrai Vito Antonio Conte, per la prima volta, nel 2006, a Lecce. Era da poco uscita la mia raccolta di poesie “Altro da sé”. Giuliana Coppola aveva organizzato una presentazione nella Bottega di alimentari della signora Clara, nei pressi dell’Arco di Prato. La signora Clara era un’anziana maestra di scuola in pensione, appassionata di letteratura e poesia. In quell’occasione venne Vito Antonio Conte. Ed ebbi la possibilità di conoscerlo. Nel corso della lettura dei versi da “Altro da sé”, rimasi stupito dal fatto che, ad un certo punto, Vito Antonio tirò fuori dalla tasca della giacca un mio libriccino di prosette e versi, “Canto intimo”, del 2004. Ci siamo conosciuti solo nel 2006, eppure, chissà quante volte, in passato, ci siamo incrociati per strada. Di fatto, abitavamo quasi nello stesso paese.
Io di Lequile, i suoi genitori di Rione Paladini, che amministrativamente è nel Comune di Lequile, anche se geograficamente è più vicino a San Pietro in Lama. Da allora con Vito Antonio è nata una fraterna amicizia. Lui è uno dei più significativi poeti e scrittori salentini, autore di versi e di prosa. Ha pubblicato anche in numerose antologie e scritture corali.

La sua Casa editrice di elezione è quella di Luca Pensa. Ha pubblicato per I Quaderni del Bardo. Ricordo i suoi articoli su “Il Paese Nuovo”, quotidiano diretto da Mauro Marino. Recensioni, e ancora bozzetti e tratteggi deliziosi di letteratura, di poesia, di musica, di arte, di costume, di politica, di vita civile. La sua cifra sempre profonda e, al contempo, leggera, ironica, è davvero accattivante. Per me Vito Antonio, in questi anni, è stato un punto di riferimento costante. Con lui tante volte ci siamo ritrovati in serate di letture condivise con altri poeti e poetesse salentine. Ma lui, prima d’ogni cosa, è un amico fraterno sincero, sempre ben disposto a donarmi consigli. Dal 2010, dalla mia raccolta “Serenangelo”, Vito Antonio firma tutte le presentazioni dei miei libretti. Conoscevo i suoi genitori, conosco la sua famiglia. Ci vediamo di tanto in tanto. I suoi arrivi a casa mia sono sempre una sorpresa. Uno squillo di telefono e lui che dice: “Beh, come andiamo? Esci!”. Capisco che mi aspetta fuori con la sua auto. E facciamo qualche giro per i paesi. Andiamo al caffè. A lui confido le mie attese, le speranze. Proprio come fosse mio fratello. Lui sa ascoltare, non giudica mai. Sa apprezzare i tuoi pregi e anche le tue manchevolezze. Lui, in questi anni, ha scritto tantissimo. So che ultimamente sta lavorando ad un progetto, di cui non dico nulla per rispetto e per segretezza. Lui scrive con indelebile inchiostro d’amore. Proprio ieri, leggevo la sua silloge poetica “e di nuovo verrai di niente vestita”, edita nel 2007, nella collana alfaomega di Luca Pensa Editore. Già la dedica che mi fece è emblematica: “per amore, solo per amore”. Lui, in effetti, scrive solo per amore, per attraversamenti di passione, per sangue che gli pulsa dentro, per ferite metabolizzate e ricucite. Per Bellezza. Umana bellezza. È un poeta puro, appassionato di jazz, di buona musica, di grandi autori. E a proposito di grandi autori, quasi come distico, nella raccolta “e di nuovo verrai di niente vestita”, c’è una poesia di Antonio Verri (“flora con labbra fumide e carni accese,/ abelardo con rossa gola forata,/ discorrono se più dolce sia l’amore/ di un milite o di un chierico,/…). Nella silloge, Vito Antonio omaggia anche Ercole Ugo D’Andrea, finissimo poeta di Galatone, morto un po’ di anni fa, conosciuto soprattutto nel cenacolo fiorentino di Betocchi e di Luzi. E ancora rimandi lucenti ai versi e alla musica di Leonard Cohen. La poesia di Vito Antonio è completa: c’è l’amore in essa, carnale e spirituale; c’è la denuncia civile, c’è l’ironia. Lui canta la bellezza femminile con soavità. Lui è innamorato dell’esistenza che si gioca nelle periferie del mondo: “vivere è/mai smettere/di frequentare/le periferie/la propria/innanzi tutto/nonostante/ tutto e tutti/”. Una costante che traversa la sua poetica è la concezione d’un tempo che scorre ineludibilmente. I suoi sono versi sull’attimo e sull’assenza. Mi colpiscono intimamente i suoi canti d’un amore vibrante:

“Quel pomeriggio
Mi bastava
La brezza nuova di tramontana
Sull’amaca tra gli ulivi
Le cicale mai sazie dello stesso canto
Le lucertole inseguirsi d’amore
I versi di Campana
A bruciare l’erba già arsa
Rari voli a Luxor
E quel dondolìo
Lontano dal mondo
Distillato di pace
A cullare il battito mio”

Marcello Buttazzo