di Anna Rita Merico –

Nude parole appese ad uno spillo d’anima. Ritorni dopo bui e cadute, il verso di Boscaglia non ama i pieni delle presenze e le luci vigili. La Sua è ricerca di parole altre, anzi, delocalizzazione di parole: parole conosciute ma, assolutamente straniate in angoli decentrati del dire lì dove mostrano nuovi significati  e incauti intrecci. Tempo fermo, sospeso nell’attimo in cui energia e pensiero si arzigogolano nella creazione del verso spandendo significati in un canto di tensione che scuote il silenzio lasciandolo vibrare attento.

Preghiere in equilibrio
cercano cadute
tra mani aperte
[1]

Mai la presenza del Sacro si mostra ma, ogni respiro, è intriso di sacro cercare. La presenza panteistica del divino imbeve ogni tratto del vivente fondandone certezza e promessa, possibilità di riparo e accasamento. Sostanza e spiritualità non sono mai nelle distanze, la prossimità è dettata dal sussurro, dall’adagio di luci, dal raggio di presenze lievi. Il tratto conosciuto si metamorfosa in dimensione altra del guardare. La visione giace tra le onde del dato, non chiede spostamenti in alcun altrove. La visione mischia realtà dell’intorno e della Natura.

Lascia che venga a te
quel momento, in cui
si palesa un raggio di verità
tra i rami dell’esistenza
[2]

Il puntiforme del chiarore chiede di allargarsi e poter invadere. Nessuna remora alla sua esigenza di espandersi così come nessun pudore aveva tenuto il dolore nell’inondare l’anima. L’affondo è nella mistica sufi la quale consente un attraversamento “differente” della dimensione interiore. E’ onda unisona che tiene il creato e, nel creato, l’anima umana capace di respirar-si attraverso le connessioni con ogni vivente. E’ il vortice del perdersi. E’ un trovarsi fuori da Labirinto e dentro alla fusione con il respiro. Vita che porta in sé la possibilità della riparazione, il segno della lacerazione ma, anche, dell’ascesi come via alla conoscenza dell’essenziale.

Mentre m’addormento
si chiude un bagliore,
dov’era dolore.
Uno appare, l’altro si nasconde,
io mi rigiro tra queste onde.
[3]

Il frantumarsi delle parole, le parole da setacciare, lo stare interamente puntati nell’unghia del presente, nell’ogni del respiro, nell’essenza del sentire rendono il verso essenziale, centrato su sé, pregno di significato, poroso.

Un po’ d’anima
sopravvissuta alle parole
ritorna,
restituita dai fogli
.[4]

 E’ lo spazio in cui l’unicità dell’essere si mostra nella assoluta povertà di categorie. Nei versi di Boscaglia si mostra tutto l’esercizio disciplinato della sottrazione che conduce al nucleo d’esistenza lì dove parchi tratti danzano la vita e lo stare nel respiro del creato.

Sornione onde
vanno e vengono.
Resta il mare,
che tutti lascia partire.
[5]

Siamo immersi in una dimensione liquida e avvolgente sempre lontana dall’urlo e sempre prossima all’accoglienza d’ogni tonalità emotiva. E’ dimensione che rende un andare tra ricordi, memoria, attesa. E’ dimensione che intrama un dopo fatto di certezze accorte e sfondamenti nel dentro.

Ti perdo, infine,
per giungere alla
mia assenza.
Aspettami lì.
[6]

E’ verso tagliato con filo d’acciaio. E’ verso espostosi al vento di culture mediterranee. E’ verso che ama lo spostamento e la povertà di scenario. E’ verso che impasta nude essenzialità, è verso in cui ritmo e simmetria, presenza e assenza, sparizione ed elevazione all’eternità, apparizione epifanica e nascondimento intramano senso e significato dell’indicare intimo del luogo e del farsi della parola.

La silloge è suddivisa in sette sezioni: Bagliori, Foglie, Ritorni, Gocce, Partenze, Occaso, Abbandono. Tali sezioni segnano l’arco di un lungo farsi della possibilità del dirsi in parola nell’accoglienza dello scacco, nel lento ruminare la perdita, nel pieno giungere alla piega intima sorgiva.

Il fondo immobilismo raggiunto indica un movimento altro, non è stasi. E’ cuore di disciplina nella ricerca e nello sguardo. E’ poesia che dice cosa può essere poesia, oggi. Poesia oggi può essere e stare nel luogo del vortice immobile lì dove tutto è stato provato e detto e solo l’assente del silenzio indica la capacità di assumersi ciò che decide di traghettarsi, ancora. Vento cupo che sposta foglie e notti. E’ un andare ossesso che mira al fondo per nuove ascesi e attraversamento di sigilli aspri. Poesia attenta alla minuzia perché poesia che ha compreso quanto, il movimento in superficie tra pochi oggetti e scarni riferimenti, sia movimento verso la profondità, nel segno di uno scavo altro.

Maestro,
dai tuoi occhi
un invito
cresce.
[7]

Di questa silloge resta interessante la dimensione, per taluni aspetti iniziatica, del dire. E’ un dire mai esplicito, un dire che si affaccia nel luogo del farsi, un dire che ama gli oltrepassamenti che nascono da pratica di rinuncia all’eccesso. E’ un dire che predilige il margine lì dove si arrovella la fornace della parola che emerge scarna come fenomeno rivelante vita ed essere. Movimento mai bulimico del verso, movimento che soppesa ogni minima traiettoria spostando di pochi millimetri come esito di lungo movimento carsico,

Scesi tutti i gradini,
s’apre il fondo buio
oltre il quale ascendo
all’incontro con Te.
[8]

L’altro ha sempre a che fare con il sacro della spiritualità. L’intera silloge è tensione alla/nella spiritualità. La spiritualità contemporanea che sa come indicarsi nella ricerca del volto dell’altro da sé, come riverbero di ricerca di sé in orizzonte di infinitudine che conosce la sapienza del contenersi. Il movimento ascensionale, nella spiritualità contemporanea, ha guadagnato l’orizzontalità che è orizzontalità dell’altro non solo come divinità ma, anche, dell’altro come contatto con la materia, dell’altro come prensione del presente, dell’altro come sosta nel corpo dei brandelli della natura. E’ spiritualità che ha saputo immettere la trascendenza nell’immanenza del vissuto rendendolo preghiera, muta ode del dire, nominazione rapida dello svelamento, intermittenza di sostanza. La poetica di Fabrizio Boscaglia si fa carico di indicare lembi del pieno e sacche del vuoto. E’ verso che non teme il vuoto ma fa del vuoto l’alveo in cui parola e visione si forgiano, traghettano nel paesaggio in cui l’anima ri-torna per dire, per dir-si oltre ogni altra possibile ricerca.

Scampoli d’oltre
non fanno un ponte
ma smuovono onde
.[9]


[1] Esistenze in Fabrizio Boscaglia, Il ritorno dell’anima, Ladolfi ed. 2021, pg 19
[2] Ivi pg. 28
[3] Ivi pg 35
[4] Ivi pg. 46
[5] Ivi pg. 58
[6] Ivi pg.65
[7] Ivi pg. 81
[8] Ivi pg.18
[9] Ivi pg. 29