di Marcello Buttazzo –

Rovisto a mani nude nel vocabolario del cielo.
Porto alla luce i diecimila nomi dell’essere
Ma ogni nome ti nomina invano.
E non ho cibo da offrire, solo un abito da sera.
Allora indosso il nome che non ti chiama
E non mi importa di essere alla moda.
Copro la nudità per il pudore, mi viene il dubbio
Che non ci sia nulla da vestire,
nessun corpo, nessuna rosa.

Claudia Di Palma, poetessa nata a Maglie. Tra le sue esperienze più importanti si deve ricordare il suo amore per il teatro. Ha collaborato con “Astragali Teatro” e “Asfalto Teatro” e attualmente collabora con la compagnia teatrale “Suddarte”. Nel 2016 ha pubblicato la sua prima raccolta di poesie “Altissima miseria” (Musicaos Editore), ricevendo vari premi e riconoscimenti. Le sue poesie sono state tradotte in inglese e spagnolo. Fa parte della piattaforma europea di poesia “Versopolis” e della redazione del lit-blog “Poeti Oggi”. Nell’aprile 2021 ha pubblicato la sua nuova raccolta di versi “Atti di nascita”, per le edizioni Minerva. Un libro originale, in cui anelito di religiosità, fisicità e spiritualità si incontrano, si intersecano, si toccano, si danno la mano. “Atti di nascita” è un percorso interiore di ricerca intima e profonda, di scandaglio, per compattare un’identità viva e sorgiva. “Atti di nascita” è un dialogo fitto, serrato, una evocazione continua delle radici cristiane, laddove la parola diventa un chiodo. La poetessa riconosce il volto del Signore dal vuoto che vi cresceva rigoglioso al centro. Un Signore che lascia gli umani ai giorni grossolani, al trastullo di monili d’argento e di cose di scarso valore. Lui, il Signore, tutto miseria e vento, non si offendeva, dissanguava in croce. Claudia di Palma, nel suo incedere, continuamente interroga il corpo, si macera sul nome, cerca una scappatoia di salvezza:

Questo giorno è una corona di spine,
il cielo una crepa o una porta.
La notte arriva tutta trafelata
come un’ambulanza, un ricovero
di luce. Il primo vagito dell’alba.

I versi di Di Palma sono spirituali e altamente umani, recano i nervi, il sangue, la carne dell’uomo, che percorre, a volte smarrito, a volte consapevole, gli alterni cammini dell’incerta ventura. Una visione antropologicamente matura e intrinsecamente legata alle pulsioni e ai bisogni anima i versi, li libera, e nei vari abbracci crea un’onda che fluisce magicamente. C’è ardore in questi versi, un fervore speciale d’una poetessa che sa centellinare con cura i sintagmi, le parole distillate come in un alambicco di sapienza. C’è un caleidoscopio d’anima, un rosso d’impeto che brucia, come una vita devota all’arte e al pensiero, allo studio, all’analisi minuziosa del testo. “Atti di nascita” si svolge in cinque sezioni, cinque tappe d’un viaggio, perché la vita è un percorso. Protagonista d’elezione, invitato d’onore al banchetto della poesia, è il corpo, dove tutto ha inizio e fine, debutto e replica:

Non voglio l’intero, so bene che il vero
è un corpo che si spezza, un taglio,
una frattura scomposta. Persino il giorno
si dà in pasto a piccoli morsi.
Quando troveremo l’incendio
saremo pallidi e freddi.
Adesso il bene è un frammento.

L’io lirico è presente, come del resto il tu. Ma la poetessa si sente figlia della parola noi. Talvolta, il procedere del testo segue una vertigine assoluta, come la contezza che il vero sia un corpo che si spezza, un taglio, una frattura scomposta. O come quando prevale il proponimento di lasciare l’amore ai posteri e di contentarsi dello svanire, delle rovine. C’è una sublimazione di ciò che accade in atti di nascita, che può invogliare a puntare ogni giorno la fine come si punta un bersaglio. La scommessa è di sostenere con tenacia lo sguardo del vulnerabile, prometterci l’abbandono, la disfatta. La poetessa è una donna del suo tempo, di questa contemporaneità costellata di contraddizioni e di misfatti, sicché nella seconda parte del libro vengono delineati aspetti ecologici e più spiccatamente popolazionistici, in una unità di intenti cucita addosso sulla pelle, in simbiosi sempre con il concetto alto di parola, che per Di Palma assume una funzione distillata e sacrale. In una terra fortemente antropizzata e sporcata dalla mano prepotente dell’Homo sapiens sapiens, la denuncia della poetessa si sofferma su un mondo coperto dai rifiuti, dalle buste di plastica, dall’immondizia. Questa società opulenta ci vede succubi, tant’è che la poetessa non sa se siamo consumatori o consumati. Al supermercato della vita non si riesce a distinguere tra un barattolo e una mano. La vita, forse, è proprio questa, ahimè. Vita che si celebra nel negozio dei residui, nel residuo dei negozi. Viviamo la triste era delle guerre, delle persecuzioni etniche, delle inevitabili migrazioni ambientali. E le politiche popolazionistiche dei governi mondiali, sovente, non sono adeguate per accogliere i flussi degli umani. Stupendi i versi di Claudia di Palma:

Quest’acqua feroce è uno specchio del nulla.
Tutto è a galla, tutto è a fondo,
ogni migrante scampato dalla guerra
è morto, e vivo nel groviglio delle onde.
Guarda l’azzurro: un enorme panno steso
ad asciugare in eterno, senza scampo.
Il mare fa acqua da tutte le parti,
la bellezza è una goccia,
la bellezza è il colore che non si trova
rovistando il mare.

“Atti di nascita” è inserito nella collana Cleide della Casa editrice bolognese Minerva. Cleide, figlia di Saffo, alla quale la madre dedica bellissimi versi. Il direttore di collana, Giancarlo Pontiggia, nelle pagine finali del libro, puntualizza: “La poesia è nata proprio per contrastare il dominio inevitabile della chiacchiera e della dispersione: è un’esperienza conoscitiva che si fonda sulla disciplina della forma e sulla sintesi di pensiero, immaginazione e sensibilità; un modo, dunque, di rappresentare il mondo e di lasciare che si manifesti nelle nostre parole attraverso un esercizio di ascolto e di meditazione”.

E in questa raccolta di Claudia Di Palma troviamo un perfetto compendio di disciplina linguistica, di rigore del pensiero, di trasognate corde, di purezza stilistica. Ascesa, discesa, caduta, risalita, e tutto un movimento d’umanità nei suoi pregevoli versi.

Poi si chiude il sipario
come una dichiarazione di resa:
lo spettacolo è terminato.
L’applauso, la sala spenta.
E resta solo il palcoscenico:
questa escrescenza che chiamiamo
corpo, dove tutto ha inizio e fine,
debutto e replica.

Marcello Buttazzo