Del “più antico dei nostri giovani poeti”
di Vittorino Curci –
Giovanni Ibello
Dialoghi con Amin
Crocetti editore, 2022
È inevitabile: scrivere una poesia significa andare incontro a una riuscita o a un fallimento. In entrambi i casi accade qualcosa che sfugge di mano all’autore. Quando le cose vanno bene, la poesia sfugge nel modo giusto ed è come un sortilegio, come un bel sogno che si avvera. Nel caso contrario, si è in una condizione di assoluta normalità per la semplice ragione che – in una società come la nostra che fa del successo il principale criterio di valutazione e giudizio – il fallimento è all’ordine del giorno, nel senso che è la condizione unificante di tantissime, innumerevoli esistenze. Una condizione che per certi versi corrisponde al valore che aveva un tempo l’appartenenza a una classe sociale oppressa. Ma, come si diceva all’inizio, una poesia può sfuggire di mano all’autore anche per potersi pienamente realizzare in una forma tutt’altro che predeterminata. E mi sembra questo il caso di un libro compatto e “riuscito” come Dialoghi con Amin di Giovanni Ibello.
La parola di questo giovane poeta, “il più antico dei nostri giovani poeti”, come scrive Milo De Angelis nella prefazione, “non è mai dispiegata, non si estende in orizzontale per chiarire sé stessa e aggiungere dettagli”. È una parola verticale, avveduta e ficcante a cui il lettore può soltanto abbandonarsi. In ultimo grado di giudizio Ibello scrive: “ogni cosa si annuncia solo mentre si sfigura”. È da cercare qui, forse, la vera chiave di lettura di questi Dialoghi che suggeriscono o addirittura obbligano in qualche modo chi legge a farsi coinvolgere e sconvolgere dal “dio delle cose lontane”, perché, dice il poeta, “mai nessuno / ci ha chiesto di essere vivi”. Il pathos e l’intensità verbale di questi versi rimandano a luoghi e tempi indefiniti che sentiamo, comunque, immediatamente nostri.
Per le densissime figurazioni, gli aspetti compositivi, la grande varietà dei movimenti sintattici e dei legami semantici, la poesia di Giovanni Ibello è come un vento del deserto che ci avvolge e ci stordisce con i suoi intensi profumi senza farci mai dubitare, però, che davanti a una poesia “riuscita”, come lo è sicuramente questa, ci sentiamo scavalcati da una grande verità: l’ineluttabile e spietata irreversibilità del tempo per cui “ogni cosa rivela / quel nulla che siamo stati”.
Vittorino Curci
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