“C’è di più” nella poesia di Maria Teresa Coppola
di Marcello Buttazzo –
Ho riposto in soffitta
le ali azzurre.
Le tue carezze rapaci
hanno dissolto
la polvere del volo.
Mentre mi fissi
da uno sguardo muto
so che alle spalle nascondi
mani con tracce d’azzurro.
Di recente (settembre 2023) Maria Teresa Coppola, poetessa di origine salentina, pisana d’adozione, ha dato alle stampe la raccolta di versi “C’è di più” (Aletti Editore). Da un primo scorrere delle poesie, possiamo notare che la cifra portante di questa silloge è la scrittura chiara, lineare, ben curata, senza alcuna ridondanza di sorta. Maria Teresa Coppola si addentra nelle spire dell’umano con delicatezza, con discrezione traccia mappe di vita, senza mai cedere ad uno spirito severo di giudizio. Alessandro Quasimodo, nella prefazione, a un certo punto scrive: “Bisogna scandagliare il proprio animo, interrogarsi, servirsi dell’intuizione che ci accosta ai mondi sconosciuti, ampliare i confini, talvolta angusti della nostra esistenza”. E, in effetti, la poetessa s’interroga continuamente sui destini, sul suo cammino e su quello di tutti gli umani. Ciò che balza subito alla nostra attenzione è la mansione minimalista delle cose descritte: “Voglio arance candite per te,/ voglio cristalli/ e uccelli e vino e vesti colorate,/ voglio abbandoni e voli,/ albe dorate e tiepidi tramonti/e sere profumate,/”. Compaiono anche narrazioni di fiaba, come fusa di gatti bambine, agili lepri, guizzi di pesci volanti. Viene evocato in “C’è di più” un ampio spettro di sentimenti: l’amore, la presenza, la lontananza, l’assenza, la melanconia.
Quella di Maria Teresa Coppola è una poesia eminentemente d’amore, che è un collante che lega gli umani e sa coinvolgere anche le cose piccole: “Ci vogliono farfalle/per fiori profumati./I fiori/impollinati dagli uccelli/non hanno odore./Con levità di farfalla/hai toccato il mio cuore/e il mio amore/profuma di te/”. Si può notare una pregnanza della memoria, che può essere ricordanza, ma anche un riferirsi ad accadimenti presenti. C’è un ardore d’amore che pervade il tessuto poetico. Può essere il saluto col fuoco di mille bengala. All’amato la poetessa dice: “Cinque sensi non bastano per celebrarti”. C’è tutta una vertigine di trasporto e compartecipazione, che esplode e si fa materia. Si fa spirito. Ho molto apprezzato una visione animalista in alcuni passi. E, soprattutto, una concezione ambientalistica e naturalistica. Si susseguono in un rosario di bellezza aranci di grandi spine, cicale, licheni, zagare ubriacanti, luce verde, pagine di foglie, profumi di venti, campanule blu, ipomee, percorsi di lombrichi, scia di lumache. E ancora danze moscerine, il fremito rosso e azzurro del volo di grilli, il glicine, i lillà, prati di camomilla, vialacciocche e giunchiglie alla finestra, unguenti d’arnica. Qualche volta la poetessa s’abbandona alla melanconia, ma sa innalzare inni anche alla gioia di vivere. Qualche altra volta alza la voce contro le tremende ingiustizie del mondo. L’antropologia poetica è ricca di varianti, che sono relative a tutti gli uomini, a tutte le donne. In “C’è di più” ha cittadinanza un vasto paesaggio umano, con tutte le tenerezze e affettività. Con tutte le loro variabili.
Facciamo accadere
quello che senza noi
non accade.
Luce segreta
come di fiori
che s’aprono di notte
e parlano con la luna.
Onda e risacca
di un alfabeto dimenticato.
Sento che siamo la terra,
eppure riusciamo a volare.
Marcello Buttazzo
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