Alla scuola della musica
di Marcello Buttazzo –
Negli anni infantili e della prima adolescenza ci siamo lasciati incantare dai virtuosismi sonori e canori di vari gruppi musicali e di diversi cantautori. I cantanti per tanti di noi hanno avuto, nel passato, l’importanza e la valenza dei poeti, con i loro testi immediati, a volte ermetici, criptici; altre volte, di più facile assimilazione.
Stamattina, aprendo i quotidiani, mi ha colpito per delicatezza il “Mattinale” sull’”Avvenire “di Marina Corradi, giornalista e scrittrice sensibilissima. I suoi figli sono venuti su a Rolling Stones, Beatles, Dylan e Guccini. Ora, al nipotino di un anno Marina Corradi rimette quelle canzoni care, colonna sonora di anni felici. Il piccolo Martino ascolta stupito, sorride e comincia a battere le mani. La scrittrice, a un certo punto, mette su i Rolling Stones e propone al piccolo ometto di novanta centimetri: “Balliamo?”. Martino batte i piedi, si china a quattro zampe, ride. Infine, la brava nonna passa a Guccini, al battagliero inno degli anni ’70 “La locomotiva”. Storia di un anarchico lanciato a folle corsa contro “a un treno di signori”. Martino si dondola e, forse, riconosce familiare la voce emiliana del cantautore. Metà dei trisnonni di Martino sono di Parma. E quando il bimbo sente ripetere “La fiaccola dell’anarchia…”, ride di gusto. Marina Corradi pensa a suo nonno paterno, daziere anarchico a Parma negli anni Venti.
La musica davvero rammemora storie, rinvigorisce vissuti, ci fa viaggiare con la memoria. E ad ogni stazione, è un passo di danza e d’amore, che ritorna. Gioia e pianto. Senza mai lasciarci e riverberando, a volte, stagioni di sogno. La musica ci desta dal torpore, fa zampillare ebbrezza, frizza, scintilla. I miei poeti preferiti della fanciullezza erano i cantanti e i cantautori. Ricordo che, nella prima parte degli anni ’70, aspettavo con frenesia di uscire dalla scuola elementare del paese, per collegarmi comodamente da casa con la trasmissione radiofonica sulla Rai “Hit Parade” di Lelio Luttazzi. La mia piccolissima radiolina assolveva pienamente alla sua mansione di mettermi in contatto con l’universo canterino.
Nel ’73, ’74, ’75, conobbi il mio poeta di riferimento, Lucio Battisti. In quegli anni, alla “Hit Parade” di Luttazzi, impazzavano i pezzi dell’autore di Poggio Bustone (primi in classifica, inamovibili), da “E penso a te”, a “Il mio canto libero”. Battisti mi affascinava per la sua voce particolare, per il mezzo falsetto, per le musiche orecchiabilissime. L’ho apprezzato poi infinitamente negli anni della giovinezza, quando a partire dal 1986 comincio a collaborare con il poeta romano Pasquale Panella. Insieme ci hanno lasciato 5 Lp della serie bianca (da “Don Giovanni” a “Hegel”), che sono capolavori assoluti del cantar leggero italico. Da ragazzino, nel ’73, ’74, ’75, non leggevo ancora i poeti canonici, ero riottoso a studiarli perfino a scuola. C’era Lucio Battisti, in quegli anni, che innalzava inni d’amore ed elegie al cielo e alla luna. E così anche negli anni successivi.
Ricordo un evento “epocale” per me e per la mia famiglia. Nel 1976, mio fratello maggiore Emidio acquistò una piccola auto di colore blu, munita d’un accessorio per quei tempi rivoluzionario: l’autoradio. Ovviamente, estraibile. Andare in giro, fare passeggiate, era per me un’occasione irripetibile di poter ascoltare le cassette di De Gregori, di De André, di Bennato, di Dalla, di Venditti, di altri. Nel 1980, arrivò l’Lp “Nero a metà” di Pino Daniele. E l’etere si strabiliò, si ringalluzzì, s’elettrizzò. L’auto di mio fratello, anche da ferma, era il mio confessionale spirituale, buono per cullare e vezzeggiare sentimenti e umori al ritmo del suono.
Nel 1982, uscì “Titanic” di Francesco De Gregori. Quella cassetta la consumai. La ascoltavo ripetutamente. Il canto melanconico su “Caterina” mi faceva tornare in mente il mio amore liceale non corrisposto, sfuggente come una dolce chimera diciassettenne. Il tempo (ahimè) è fuggito da allora, si sono succedute tante vicissitudini. Ho imparato anche ad apprezzare i poeti canonici, classici e moderni. Ma per i cantanti e per i cantautori continuo ad avere un occhio di riguardo. In fondo, come sostiene il “principe” De Gregori: “Meno male che c’è sempre uno che canta e la tristezza ce la fa passare. Sennò la nostra vita sarebbe come una barchetta in mezzo al mare”.
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