Al di là della rossa boa e dello stallo, ho visto te, dolcezza unica…
Terra di sole d’estate, le notti afose non ti fanno dormire. Terra d’antiche Chiese, importanti, di santi protettori, della nostra madre, di radiosi conventi dove dissipammo il nostro vivere bambino. Terra di nessuno, pregna del ricordo di lei, fra ulivi e notti stellate si consumava e s’accresceva il nostro amore, fiaccola d’immensa luce. Lequile, terra del pianto, resto e resto volentieri fra gente distratta accordata sulle note del cuore, io in cerca di stratagemmi che mi facciano sentire ancora vivo. Ancora s’alluzza il desiderio, al nitore di fiamma, al subbuglio del cuore, al trambusto di radiose reminiscenze. Cosa s’infioretta nella mente se non una vivida visione, il ricordo lieve di anni fa, quando correvo al mare con la musa mia? Stanchi, incerti passi sull’arenile a cercar quiete. La sentivo, in frotta la vedevo, cara-cara in banchetto a predare l’anima, a frastornare l’aria di lamenti. Oggi, son qui, ai bordi del tempo, ai margini del mondo, a inseguire altre meravigliose muse, dal pensiero arguto, dagli incredibili occhi di cielo. D’improvviso, adesso, fisso l’orizzonte. Non sento più il vento soffiare la sabbia. Il mare, pianamente. Tace la tempesta. Il presente è anche il passato, la nostra storia, che ci ha traversato, e ci ha lasciato gioie e dolori, ferite e bagliori. Il presente è anche ciò che è stato. Trasvolammo l’immenso celeste, ci addentrammo nelle carni e nei tripudi della acque verdeazzurre, che ci accolsero in uteri di spuma. Con la musa di sole e di vento, di iride, mi squassai d’amore e di lidi sabbiosi. Mi aprivo finalmente alla Natura e all’incanto come un bimbo, con intenti pacificati, con istinto e ragione, con lo spirito degli uomini di buona volontà. Lei aveva letto la mia vita nuda con occhi di donna, con occhi di chi sa guardare, di chi sa scavare nelle più riposte pieghe. Corridori e colori. Le risse del cuore, pugilatori del tempo. Quanta musica di violini nella sua voce. Quanto silenzio, quanto cielo, fra le sue mani gioiose. Mi afferrava dolcemente nelle lotte d’amore, come una cosa cara, come un fruscio di stagione. Quante volte mi affidai alle sue mani leggere, che mostravano la rotta, il cammino del buon marinaio. Nel mare, quel sentiero solitario con i pesciolini argentati. Nel mare, i camini rosei, i nostri corpi che diguazzavano, l’isola dei conigli. Come un bambino giocavo con lei alle onde e ai cavalloni. L’estate l’aveva svelata, svestita, dea degli arenili infuocati e bellezza rotondeggiante dei paesi marini. Quanti ardori volano in un etere di eccitazioni, sogni e speranze. Cosa trascorreva? L’estate, la dolce estate salentina, e una fanciulla di fiaba, che mostrava l’incerto destino. L’antica musa marina oggi vive nel suo altrove, è approdata su altri lidi. Ma l’estate è perenne memoria che non passa. Memoria presente, di chi, nella nuova stagione, cerca come rabdomante le fonti più pure, la donna di pane con gli occhi luminosi come fari, che lo possa estasiare, strabiliare. E proprio stamane, con il cuore colmo d’ansia, ho spiato oltre l’ultimo orizzonte. Al di là della rossa boa e dello stallo, ho visto te, dolcezza unica, favolosa e silvana, danzarmi intorno, fra torrenti di luce, diluvi di cadute stelle, maremoti tempestosi e festosi d’amore. Sì, ho visto te danzarmi intorno, splendore silvano.
Marcello Buttazzo
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