di Rocco Boccadamo –

Accanto ai “primi”, anche se importanti e importantissimi, a mio avviso, devono coesistere in permanenza anche i “secondi”. Invece, nella società attuale, succede sovente che i ruoli finiscono col cancellare e annullare le rispettive persone; su tale solco, io credo, sbagliato, nel nostro paese si pone l’esempio emblematico, s’intende in negativo, di una precisa figura di primissimo piano, facilmente identificabile anche da sordi, muti e ciechi.
Recatomi qualche giorno fa a un convegno nel Castello Carlo V della mia città, ho notato, tra gli ospiti e relatori, due illustri personaggi: uno, con incarico di prestigio nel settore giudiziario, l’altro addirittura al vertice della Banca d’Italia.
Ambedue, arrivati nel salone del convegno da soli, come il più comune degli intervenuti.  Il primo, andatosi a sedere in terza fila, per ripassare una serie d’appunti annotati su fogli dattiloscritti, il secondo, con borsello, in tela plastificata di colore scuro, appeso a una spalla e poi poggiato a terra accanto alla sedia.
Mi sono avvicinato all’illustre pubblico ministero, presentandomi e salutandolo. Nel ricevere la sua mano, gli ho fatto presente di aver avuto occasione d’incontrarlo, diciotto anni prima, in un’aula del Tribunale di Milano, dove ero stato, proprio da lui, chiamato a comparire come persona informata dei fatti (in collegamento alla mia pregressa attività lavorativa), nell’ambito di un famoso e a lungo discusso procedimento giudiziario all’epoca in corso.
Al mio accenno del particolare contesto, il magistrato ha soggiunto: “Anche se è passato tanto tempo, mi pare di ricordare…”. Al che, m’è venuto spontaneo di fargli presente di essere rimasto, in quella lontana occasione, assai colpito per via del modo garbato e gentile con cui, da pubblico ministero, mi era rivolto nel pormi domande e chiedermi precisazioni.
Risposta dell’interlocutore: “Guardi che io, fin da quando ho iniziato a fare questo mestiere, ho sempre considerato l’educazione e il tratto compito alla stregua di elementi che vengono prima di tutto e, quindi, irrinunciabili”.
Infine, mi ha congedato con un “beato lei che vive a Lecce e non a Milano”.

Quanto al Governatore della Banca d’Italia, sono rimasto ammirato per l’estrema sobrietà del suo arrivo nel castello (pochi lustri addietro, un suo omologo sarebbe verosimilmente apparso con una scorta di commessi in divisa e attorniato da uno stuolo di assistenti e collaboratori), per il semplice borsello sulle spalle e quel gesto di poggiarlo a terra abbinabile a un cittadino qualunque.
Infine, l’illustre personaggio, all’atto dei suoi dotti e puntuali interventi durante il dibattito, ha dimostrato di non saper tenere in mano il microfono, al punto che, dall’auditorio, sono sgorgati ripetuti “per cortesia, il sonoro”.
Non c’è che dire, per quest’ultima chicca d’innocente imperizia, bravo Governatore, si vede che sei un uomo di fatti e di concretezza e non un macinatore di orazioni e parole.