di Marcello Buttazzo

Papa Francesco è popolare, perché è vicino al cuore e all’anima della gente. Piace molto per la sua vivace pacatezza. È un mito vivente soprattutto per i giovani che, in quest’era confusa e ferrigna di falsi e inconsistenti eroi di cartone, non hanno fulgidi punti di riferimenti da seguire. Bergoglio, invece, è una rilucente guida per uomini e donne di buona volontà, non solo cattolici, ma di tutte le altre confessioni. Non deve stupire, pertanto, se sulla copertina della rivista di musica e cultura “Rolling Stones”, nell’edizione italiana di marzo, campeggi la rassicurante foto di Bergoglio. Un “Papa pop”, che ha saputo conquistare tutti i giovani con le sue accorate e misericordiose parole per i diseredati e per gli ultimi della terra, con la sua morbida visione vicina alle aspettative della gente comune. Ma Papa Francesco sa anche dare un taglio più sociale e politico ai suoi interventi. In questi giorni, è stata pubblicata una sua recente intervista sul settimanale tedesco Die Zeit. In Europa, in quest’era di malcelata demagogia e di idee nazionalistiche sventagliate come un’arma impropria, come una clava, la posizione di Bergoglio è netta: “Il populismo è cattivo e finisce male, come ci ha mostrato il secolo scorso. La Germania era disperata, indebolita dalla crisi del ’29, e allora arrivo quest’uomo che disse: io posso, io posso! Si chiamava Adolf. È andata come è andata”. Francesco, ai giornalisti tedeschi, senza alcuna enfasi dogmatica, ha palesato due problematiche che appesantiscono l’Europa: la disoccupazione e le scarse nascite.  Due questioni enormi, che non sempre le agende istituzionali e politiche riescono ad affrontare con il dovuto piglio pragmatico e programmatico. Che dire? Teniamoci stretto questo “Papa pop”, popolare, adatto ai nostri giorni, stella splendente del nostro tempo, che ci fa sentire, fra le altre cose, ancora intatto il gusto dell’attesa, della speranza.

Marcello Buttazzo