Hélène Grimaud, non solo arte…
di Antonio Stanca –
La pianista e scrittrice francese Hélène Grimaud ha quarantotto anni, è nata a Aix-en-Provence nel 1969 da una famiglia che aveva diverse provenienze. Da bambina aveva cominciato a studiare il pianoforte, poi era stata in Conservatorio, si era diplomata a sedici anni e a quell’età risale il suo primo disco, col quale aveva vinto il Grand Prix du Disque dell’Accademia Charles-Cros. A diciotto anni ha interpretato il suo primo recital da solista a Parigi e d’allora è cominciata quella sua carriera di pianista che l’avrebbe portata a suonare con l’orchestra di Parigi e con le orchestre di altre città e paesi, l’avrebbe mostrata impegnata in concerti e spettacoli, l’avrebbe fatta diventare quella che ora è, una celebrità.
Nel 1990 si era trasferita in Florida e nel 1997 in una contea presso New York. Ora risiede a Berlino. Anche nei nuovi posti avrebbe svolto la sua attività di pianista e nel 2013 il numero di CD venduti era 850.000. Famosa in tutto il mondo è diventata quella bambina alla quale piaceva suonare il pianoforte. Ma accanto alla passione per la musica c’è pure, nella Grimaud, quella per i lupi e molto si è adoperata, una volta giunta in America, affinché questi animali venissero difesi, tutelati. Ha fondato, insieme al fotografo Henry Fair, il Wolf Conservation Center, struttura finalizzata alla salvaguardia di una razza animale che rischia l’estinzione per cause diverse.
Anche di scrittura è appassionata la Grimaud. Anche scrittrice è. Generalmente ha scritto opere di carattere autobiografico, nelle quali motivi ricorrenti sono le sue esperienze, i suoi rapporti con gli ambienti, la vita dei lupi, il suo impegno teso ad evitare, ridurre i pericoli che li minacciano. Tra le narrazioni della Grimaud c’è, però, una che,pur rimanendo autobiografica, mostra altri contenuti. S’intitola Lezioni private, l’edizione originale risale al 2005 e l’anno scorso è stata ristampata in Italia per conto della casa editrice Bollati Boringhieri di Torino. La traduzione è di Patrizia Farese. Grimaud la scrisse quando viveva e lavorava a New York, quando stava attraversando un periodo difficile poiché assalita da pensieri, percorsa da paure che l’avevano resa inquieta, le avevano procurato molti dubbi. Nell’ultima pagina dell’opera una sola frase, collocata al centro, la conclude con le parole: «Quando mi sono svegliata, era mezzogiorno». Queste vorrebbero far intendere che quanto è stato detto nel corso del libro è frutto di un sogno. In effetti la narrazione procede in una maniera che rende difficile distinguere la realtà dalla fantasia, la verità dall’immaginazione, che molti caratteri ha in comune con quelli del sogno.
Di sé dice la scrittrice in quest’opera, della sua vita, dei livelli alti raggiunti nel suolavoro di pianista, della dimensione artistica che sente di vivere. Dice pure della sua decisione di lasciare per qualche tempo i tanti, infiniti impegni, di lasciare New York e concedersi una vacanza da trascorrere in Europa tra i suoi interni ed esterni, le sue città, i suoi paesi, le sue coste, i suoi mari, tra posti dei quali aveva conosciuto soltanto i teatri o le altre sedi dei concerti e mai le strade, le piazze, le case, la gente, la vita che si svolgeva. Un viaggio simile era un bisogno che da tempo avvertivano la sua mente e il suo corpo. Sfinita si sentiva a causa delle continue rappresentazioni per le quali era chiamata, dei continui spostamenti che il suo lavoro richiedeva, della perenne condizione di preparazione che le sue esibizioni esigevano, delle sempre precarie forme di alimentazione, di soggiorno, di pernottamento che doveva accettare, dell’assoluta mancanza di tempo, di spazio per sé stessa, per i propri bisogni, i propri desideri, le proprie intimità. Di tutto questo peso voleva liberarsi anche se per pochi giorni, da questa stretta voleva evadere tramite un viaggio da compiere, soprattutto in macchina, tra quelle città, quei luoghi di quell’Europa che tanti grandi musicisti avevano visto. Il loro pensiero attraversava in continuazione la sua mente. Dal loro esempio, dalle loro qualità, dalle loro sofferenze, dalla loro fama, si era sentita sempre animata, mossa, spinta a procedere, a migliorarsi. Ma intanto era stata presa anche da altri pensieri, da dubbi che l’avevano portata a chiedersi se quella della pianista dovesse essere la sua unica maniera di vivere, di fare. Divisa si sentiva tra l’idea di continuare nella musica, di perfezionarsi sempre più, di essere la migliore e l’altra di prendere parte a quanto finora, a causa della musica, le era rimasto estraneo, la vita degli altri. Erano problemi che non sapeva risolvere, erano verità che stava cercando. Anche da questo stato d’inquietudine, da questo disagio interiore era derivato il suo desiderio di un viaggio che credeva potesse tornarle utile. Succederà, infatti, che durante il viaggio faccia, come nei sogni, una serie d’incontri con persone apparse improvvisamente e improvvisamente scomparse, che parli con loro e sappia quanto le serviva. Le parole che ascolterà saranno molto sagge, molto profonde. Molto bene faranno a lei che sta vivendo una crisi, che è giunta a non sapere se deve ritenersi appagata dell’alto livello raggiunto nella sua attività musicale, dei suoi successi, della sua arteo se c’è altro nella vita e cosa. Si è accorta che il suo lavoro, la sua musica l’hanno rinchiusa tra teatri, concerti, viaggi in aereo, camere d’albergo, l’hanno isolata dal resto del mondo, privata del contatto con gli altri, con la loro vita, con tutto quanto, di vecchio e di nuovo, la costituisce. Dai discorsi con quelle persone incontrate per caso durante il viaggio, da quelle “lezioni private”, dai loro riferimenti ai classici antichi e moderni, al mito, le verranno chiariti i problemi, risolti i dubbi. Imparerà che la vita va intesa, vissuta in senso pieno, totale, in tutti i suoi aspetti, le sue parti, i suoi elementi, saprà che quelli dell’arte non sono gli unici ma sono compresi tra gli altri, che sono superiori e che per questoservono a salvare il mondo dall’abbrutimento nel quale è oggi precipitato, dai gravi pericoli che incombono in ogni ambito, privato e pubblico, morale e materiale, politico e sociale, nazionale e internazionale. All’arte andava chiesto di risolvere tanti drammi, di riportare l’umanità allo stato di primitiva bellezza, unità, armonia. Era un compito che l’arte doveva svolgere e lei, l’artista Hélène, si sentiva pronta a cominciare poiché finalmente aveva trovato le risposte alle sue domande, aveva capito che nella sua vita doveva far posto anche a quanto avveniva fuori di sé, che non era importante essere famosa se questo significava essere sola.
Apprezzabile è anche la lingua dell’opera, molto ricca, molto sicura, molto sciolta nel dire di temi tanto complessi, nel rendere stati d’animo così particolari, nel combinarli con le luci, i colori di un paesaggio, di un’alba, di un tramonto, con i rumori di una casa, di una strada, di una città, nel creare una situazione perennemente sospesa tra la realtà e il sogno.
Antonio Stanca
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