Yukio Mishima o dell’eternità dello spirito
di Antonio Stanca –
Recentemente la casa editrice Feltrinelli di Milano ha proposto, nella sua ventisettesima edizione, il romanzo La voce delle onde dello scrittore giapponese Yukio Mishima. La traduzione è di Liliana Frassati Sommavilla.
Mishima era nato a Tokio nel 1925 e a Tokio era morto nel 1970. Aveva quarantacinque anni e si era distinto come poeta, scrittore, saggista, drammaturgo, attore e regista cinematografico. Era stato un convinto nazionalista, un patriottista, era vissuto nel culto del Giappone, delle sue tradizioni culturali e spirituali, e dell’Imperatore, del quale aveva difeso la figura e la funzione, al quale aveva attribuito una dimensione quasi divina. Anche alla cura del corpo si era dedicato Mishima, aveva praticato le arti marziali e tutto questo aveva fatto in una vita che non era durata molto ed alla quale egli stesso aveva posto fine.
Aveva cominciato a scrivere a sei anni, quando frequentava la scuola elementare. Allora scriveva poesie, poi, a sedici anni, col racconto La foresta in fiore, si era fatto notare dal pubblico. Laureatosi in Giurisprudenza, si era impiegato presso il Ministero delle Finanze ma si era dimesso poco dopo per dedicarsi esclusivamente alla scrittura. Il romanzo Confessioni di una maschera del 1949 lo rivelerà ad un pubblico più vasto, sarà ben accolto dalla critica e mostrerà quelli che saranno i motivi ricorrenti nella sua produzione narrativa e teatrale. Mishima diventerà l’autore giapponese moderno più conosciuto e più letto all’estero. La sua formazione, avvenuta sugli autori del Decadentismo europeo e su quelli della Grecia classica, aveva rafforzato le sue tendenze naturali che lo portavano a credere soprattutto nei valori interiori, quelli dell’anima, dello spirito, a considerarli superiori ad ogni altro, unici, a pensare che per essi, per il loro raggiungimento, per la loro realizzazione bisognava impegnarsi, lottare. Mishima lo farà, quelli spirituali saranno i traguardi che sia l’artista sia l’uomo si proporrà di raggiungere. E lo faranno anche tanti personaggi della sua narrativa e del suo teatro, nei quali egli si trasferirà, tramite i quali dirà di sé.
Ne La voce delle onde ad interpretare tale ruolo saranno due ragazzi, Shnji e Hatsue. Questi lotteranno contro ostacoli di ogni genere per veder realizzato il loro sogno d’amore, per poter stare finalmente e definitivamente insieme.
I due vivono in uno sperduto villaggio di pescatori compreso tra i tanti dell’isola giapponese di Uta-jima, nell’Oceano Pacifico. Lui è povero, ha perso il padre quando era ancora piccolo e già da adolescente ha iniziato a lavorare su un’imbarcazione da pesca che usciva in mare alle prime luci dell’alba e tornava sull’isola nel pomeriggio o a tarda sera. Anche la madre lavorava, faceva la pescatrice di perle. S’immergeva, insieme ad altre donne del villaggio, nelle acque costiere e raggiungeva la loro profondità alla ricerca delle conchiglie che contenevano perle.
Hatsue, invece, è di famiglia ricca e si è messa con Shnji quando erano ancora bambini, si sono voluti bene fin dal primo incontro ma molti sarebbero stati i problemi, molte le difficoltà alle quali la loro condizione sociale, completamente diversa, li avrebbe esposti.
La loro sarebbe stata una lotta continua contro innumerevoli avversità, una lotta, però, che non li avrebbe scoraggiati, allontanati ma li avrebbe fatti sentire più vicini, una lotta che avrebbero sostenuto insieme, con tenacia, con risolutezza, perché sicuri erano dei loro sentimenti, del loro amore. Sarà l’amore a far loro superare i tanti ostacoli incontrati. Sarà il loro un ulteriore esempio che lo scrittore Mishima ha voluto offrire riguardo alle capacità che può possedere il sentimento, alla forza che può raggiungere lo spirito nel suo confronto con la materia.
Una complicata storia d’amore è quella che Mishima ha saputo abilmente, finemente rappresentare nel romanzo. E lo ha fatto proiettandola sullo sfondo di una piccola isola del Pacifico, investendola delle luci, dei colori che su quell’isola assumono le albe, i tramonti, identificando la bellezza dei due ragazzi, la rivelazione del loro amore con lo splendore, l’esplosione della natura, procurando a tutti questi elementi un senso d’immenso, d’infinito.
Procedendo in questo modo Mishima non si accontenterà più, non gli basterà più raggiungere una condizione spirituale che lo faccia sentire partecipe dell’immensità, dell’infinità. Gli sembreranno traguardi esposti a pericoli di scadimento, valori che possono guastarsi, finire. Senza fine voleva, invece, che fosse il traguardo ultimo della sua spiritualità, assoluto, eterno lo voleva. Voleva che durasse per sempre, che non finisse mai, che non avesse alcuna parte, alcun aspetto deperibile. Si convincerà che soltanto la memoria, il ricordo potevano essere tali, che soltanto con la morte li si poteva ottenere e la mortecercò. La morte si diede con un suicidio che sarebbe stato rituale e che effettivamente lo avrebbe eternato nella storia della letteratura mondiale.
Antonio Stanca
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