Su Teresa Manara di Luisa Ruggio
di Mauro Marino
Cammina cammina, leggendo leggendo
I luoghi ci vengono incontro, forse è il destino a sceglierli per noi; forse le strade ci si aprono davanti e il nostro cercare completa l’atto e “camminando”, attraversandole, compiamo, completiamo l’atto della vita…
Così è per un libro, anche quello è un cammino, un andare, pagina dopo pagina alla scoperta, accompagnati dallo stupore…
Così è stare con Teresa… La lettura si fa voce: lo senti il venire, l’incedere delle parole. Un piano di folgorazioni si mostra rigo dopo rigo, svelamenti dove la parola è tenuta sul bilico della molteplicità e il narrare è gioco, esercizio funambolico, superamento del limite, del senso, del ritmo…
“Avevo letto quel che conta davvero, le favole…” dice Teresa Manara, la protagonista del nuovo romanzo di Luisa Ruggio per le Edizioni Controluce (Besa).
“Invasa da molti destini” Teresa ci rende – con il raccontarsi – partecipi del suo viaggio a lli scunfundi, un cammina cammina che l’ha fatta finire in una storia…
Lei, nata sulla via Emilia, a Imola nel 1912, si presenta ai lettori e presentandosi dice pure della natura dei ricordi, dei suoi ricordi: “grappoli d’uva all’ombra di foglie larghe, materne…” che vengono via con i “colpi di cesoie all’albata”.
Lei, da piccola, sognava di incontrare “un uomo capace di trasformare tutta l’acqua del [suo] bicchiere in vino purissimo”, così è stato, se è vero com’è vero che una bottiglia, che porta il suo nome, può capitare adesso sul nostro desco: ha sposato un uomo “che è come un vigneto, slarga l’orizzonte e chiede spazio”.
Un tempo fermo quello raccontato da Teresa Manara eppure costantemente in movimento…
La prima impressione, giunti in un luogo, è tutta trattenuta nel respiro dello stupore, della scoperta , capita sempre; poi, via via, si svela e assaporiamo il divenire delle cose… La Lecce raccontata da Teresa è quella “tutta chiese color sabbia e botteghe scure” di prima lungo secoli. Giunta alla soglia degli anni cinquanta la città vide, giorno dopo giorno, crescere “un condominio in luogo di un albero, lampioni e strade che spuntavano dove prima c’erano solo file di fichi d’India”.
Una città da decifrare di continuo, con le sue malie, le sue ipocrisie, le sue “sufficienze”… E’ ancora così? Viene da chiederselo alzando gli occhi dalla pagina… Le “parole esatte” del nostro dialetto danno il titolo ai brevi capitoli del libro. Partiture come piccole cantiche poetiche, danno corpo al “corpo” di Teresa e noi leggendo leggendo l’accogliamo intera e con lei la sua storia, fino a molti anni dopo il suo arrivo a Lecce, quando i suoi ragazzi “ormai erano cresciuti e per entrambi il vino non era più soltanto il lavoro del padre, ma un’idea smisurata, piena di progetti. Sognavano di mettere in piedi una cantina tutta loro, ne parlavano con fervore”. Conquistavano la madre e le chiedevano “Ti manca Imola, ti manca mai?”.
No, la nostalgia e solo una culla dove dormono le cose, sta a noi destarla, la vita è un’altra cosa…
La Vita! Quella interessa a Teresa, il vivere, lo stare nel divenire, nel cambiamento. Tutta occhi e sentimento, quello conta. Quello soltanto!
di Mauro Marino
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